mercoledì 11 novembre 2015

La Stampa TuttoScienze 11.11.15
I miei viaggi nel tempo tra i paradossi della Relatività di Einstein
di Seth Lloyd


Berlino, 11 novembre 1915: seconda conferenza di Albert Einstein sulla Relatività Generale. Se nella teoria ristretta (quella presentata nel 1905) si descrive come si muovono gli oggetti nello spaziotempo «piatto», nella nuova formulazione - quella Generale, appunto - entra in scena la curvatura dello spaziotempo, modificato dalla materia. È questa intuizione fondamentale che spinge Einstein a elaborare, mentre presenta le sue lezioni, le equazioni indispensabili per dare sostanza alle sue idee. E lo fa in una frenetica corsa contro il tempo, battendo per un soffio, lui, genio della fisica, un genio della matematica, David Hilbert. Le conseguenze di questo capolavoro intellettuale si vedranno negli anni e nei decenni successivi, quando la Relatività rivela le sue potenzialità: da quelle teoriche (come spiega qui sotto Seth Lloyd) a quelle tecnologiche (come raccontiamo nelle due pagine successive).
Gabriele Beccaria e Francesco Vaccarino

Il logico Kurt Gödel era noto per le ricerche su paradossi e problemi astrusi. Nel 1930 dimostrò che una qualunque teoria matematica che includesse l’aritmetica sarebbe stata incompleta, nel senso che sarebbe stato possibile formulare proposizioni corrette all’interno della teoria stessa, ma impossibili da dimostrare con la sola teoria in questione.
È questo il teorema di incompletezza, che mandò a gambe all’aria 2 mila anni di matematica e fornì le basi per i lavori di Alan Turing che hanno fondato l’era digitale. Negli Anni 40 Gödel lavorava all’«Institut of Advanced Studies» a Princeton. Il suò svago principale era fare lunghe passeggiate con il suo amico e collega Albert Einstein. Su consiglio del suo psichiatra Gödel aveva sospeso le ricerche sulle contraddizioni della matematica e aveva deciso di studiare la Relatività generale di Einstein, la teoria che descrive la gravitazione e il comportamento dell’Universo in termini di curvatura dello spazio e del tempo. Incapace di resistere alla sua attrazione per i paradossi, Gödel si concentrò sulla questione del viaggio nel tempo e dimostrò che la teoria di Einstein ammetteva soluzioni in cui una «nuvola di polvere cosmica» in rapida rotazione avrebbe curvato lo spazio e il tempo indietro su se stessi.
La curvatura dell’Universo di Gödel risulta talmente estrema che il tempo sarebbe trascorso su una curva chiusa, permettendo al viaggiatore del tempo di reincotrarsi. Gödel considerava la sua teoria come un omaggio all’amico Einstein, ma, quando quest’ultimo venne a sapere che la sua meravigliosa teoria avrebbe consentito i viaggi nel tempo, ne rimase orripilato.
Come suggeriscono la letteratura e il cinema, infatti, questi viaggi generano ogni tipo di paradossi. Per esempio un viaggiatore potrebbe tornare nel passato, incontrare per caso suo nonno ancora giovane, uccidendolo accidentalmente. Di conseguenza, il nonno non avrebbe potuto avere figli, il viaggiatore non sarebbe mai nato e non avrebbe potuto andare indietro nel tempo a uccidere il nonno. Come si viene a capo di un tale paradosso? Un secondo esempio: una viaggiatrice del tempo legge la dimostrazione di un teorema in un libro, torna indietro, mostra la dimostrazione a un matematico che la include in un libro che sta scrivendo, lo stesso che lei leggerà nel futuro. Chi ha dimostrato il teorema? Nessuno, in apparenza.
C’è una massima in fisica, secondo cui, «se qualcosa è consentito da una legge fisica, allora esiste da qualche parte nell’Universo». Dato che la teoria di Einstein consente i viaggi nel tempo, allora, ha senso indagare che cosa possa accadere a un viaggiatore quando entra in una curva temporale chiusa e potenzialmente generatrice di paradossi. Il comportamento della materia - viaggiatori inclusi - è governato dalla meccanica quantistica, che è essa stessa fonte di ulteriori paradossi. Di conseguenza per tentare di dare un senso ai paradossi indotti dalle curve temporali chiuse di Gödel, è necessario costruire una teoria quantistica dei viaggi nel tempo. Molti fisici celebri, tra cui Kip Thorne e David Politzer, hanno investigato proprio la meccanica quantistica delle curve temporali chiuse. Le teorie sono essenzialmente di due tipi.
Nel primo tipo il viaggiatore del tempo può cambiare il passato, per esempio uccidendo il nonno. Quando cambia il passato, entra in un nuovo Universo con un futuro diverso da quello che si ricordava. Esempi di film basati sulle teorie di questo tipo sono «Ritorno al futuro» e «Un tuffo nel passato». Nelle teorie del secondo tipo il viaggiatore può tentare di cambiare il passato, ma, indipendentemente da quanto si sforzi, non ci riuscirà. Anzi. Produrrà inavvertitamente le condizioni che porteranno agli eventi futuri che cevuole impedire. Esempi di «tipo II» sono «Harry Potter: prigioniero di Azkaban», «L’esercito delle 12 scimmie» e la serie dei «Terminator».
I miei colleghi hanno studiato e ristudiato il problema del viaggio nel tempo nel contesto del teletrasporto quantistico: quest’ultimo utilizza il bizzarro e contro-intuitivo effetto chiamato «entanglement» (letteralmente «aggrovigliamento») con cui consentire a un sistema quantistico di essere distrutto in un punto per poi essere ricostruito a distanza in un altro. Nel teletrasporto quantistico ordinario la ricostruzione avviene successivamente alla distruzione. Però, io e i miei colleghi, siamo stati in grado di mostrare che, in presenza di una curva temporale chiusa, il teletrasporto quantistico può essere utilizzato per distruggere un sistema nel futuro per poi ricostruirlo nel passato, consentendo così al sistema di viaggiare nel tempo.
La nostra teoria consente quindi un’esplorazione dei paradossi dei viaggi nel tempo. Siamo anche stati in grado di effettuare un esperimento in cui abbiamo inviato un fotone - la particella scoperta da Einstein - diversi milionesimi di secondo indietro nel tempo, facendolo interagire con se stesso. Non esistendo una «Società per la prevenzione della crudeltà sui fotoni», abbiamo provato a far «uccidere» al fotone il se stesso del passato, impedendogli così di ritornare. In pratica abbiamo creato l’analogo fotonico del paradosso del nonno. Cosa è successo?
Non è andata come nei film che finiscono con la scritta «Nessun animale è stato maltrattato»: migliaia di miliardi di fotoni sono andati distrutti. Ma quel fotone che cercava di uccidere se stesso ha sempre fallito, consentendo a se stesso di tornare dalla sua futile missione. Gödel ne sarebbe stato orgoglioso.