mercoledì 11 novembre 2015

La Stampa TuttoScienze 11.10.15
Se il Gps è “relativo”, led e laser sono figli di una nuova idea della luce
Einstein è anche uno dei padri (quasi sconosciuto) del nostro mondo high tech
di Guglielmo Lanzani


Se orientarsi in terra e in mare non rappresenta più un problema, lo dobbiamo anche alla Relatività. Il sistema Gps, infatti, non può prescindere da questa teoria per il suo funzionamento.
La velocità relativa di spostamento rispetto alla Terra rallenta il tempo sul satellite di circa 7 microsecondi al giorno, mentre il potenziale gravitazionale, minore sull’orbita del satellite rispetto alla Terra, lo accelera di 45 microsecondi. Pertanto, il bilancio è che il tempo sul satellite accelera di circa 38 microsecondi al giorno. Senza queste correzioni (oltre a quelle dovute alla propagazione di segnale in atmosfera o ai ritardi dell’elettronica di bordo), il Gps genererebbe errori nell’ordine di km oppure di miglia marine, con le prevedibili conseguenze per il traffico terrestre e marittimo.
Moltissime ricadute tecnologiche che dobbiamo ad Einstein non derivano però dalla Relatività. Dalla sua mente, infatti, scaturirono molte altre idee nel campo della fisica della materia che hanno avuto un impatto ancora maggiore sulla nostra vita quotidiana. Proprio nell’anno in cui scrisse la Relatività ristretta, il 1905, Einstein diede alla luce anche un altro lavoro - che gli fruttò il Nobel nel 1921 - sulla spiegazione dell’effetto fotoelettrico, cioè come la luce induce corrente elettrica in alcuni materiali. Scoperto decenni prima, l’effetto fotoelettrico era un rompicapo per i fisici. Nella sua spiegazione Einstein aveva pensato alla luce come costituita da pacchetti di energia, «i quanti di luce», anziché come un flusso continuo di radiazione elettromagnetica, come si era abituati a intenderla. L’interazione tra luce e materia avveniva quindi come un gioco di biglie: l’energia dei quanti di luce veniva trasferita agli elettroni del materiale. Se sufficiente, questi potevano essere emessi dalla superficie, altrimenti restavano all’interno del materiale ma liberi di muoversi.
Si tratta di una delle pietre miliari nel cammino che ha portato al superamento della fisica classica in favore della meccanica quantistica. Lo sviluppo di una teoria in grado di descrivere l’interazione della radiazione con la materia portò a nuove soluzioni tecnologiche quali laser, telecamere, tubi catodici, fotocellule e celle fotovoltaiche. Esistevano, allora, già diversi tipi di celle fotovoltaiche, le più note a silicio. Il fotovoltaico ha infatti una lunga storia.
Nel 1876 R. E. Day e William G. Adams scoprono che, illuminando una giunzione di selenio e platino, si genera una differenza di potenziale e la prima cella fotovoltaica al selenio viene realizzata un anno dopo. Inizialmente il dispositivo non riceve però molta attenzione, è considerato solo una curiosità. Le cose cambiano con l’avvento del silicio, utilizzato già nel 1940. Ai Bell Labs, all’epoca un punto di riferimento della scienza e della tecnologia, Gerald Pearson, fisico, costruisce per caso, una cella fotovoltaica al silicio che ha un efficienza di conversione molto maggiore di quella ottenuta con il selenio. La cella fotovoltaica al silicio dei Bell Labs raggiunge il record del tempo, 6% in una giornata di sole.
La teoria di Einstein spiega la relazione tra il tipo di materiale (il semiconduttore) e i colori della luce solare che possono essere assorbiti, rendendo conto dell’energia che può essere estratta. Con questi strumenti teorici, assieme allo sviluppo della fisica dello stato solido, è quindi possibile l’ingegnerizzazione del dispositivo e il miglioramento delle prestazioni. Intanto il dispositivo attira l’interesse di molti, tra cui gli ingegneri di Usa e Urss. Entrambi hanno un’idea in mente: l’alimentazione dei satelliti, cruciali per la conquista dello spazio in tempi di Guerra Fredda.
Sulla Terra, però, il primo cliente di questa tecnologia emergente è l’industria del petrolio. Le celle fotovoltaiche sono utilizzate nei pozzi di estrazione del Golfo del Messico per alimentare le lampade accese la notte. Le applicazioni si moltiplicano rapidamente, attirando anche organizzazioni no-profit per creare sorgenti di energia nelle aree più povere del Pianeta e non raggiunte dalle reti elettriche. Durante la siccità nel Sahel, in Africa negli Anni 70, padre Bernard Verspieren, un missionario, inizia un programma di estrazione dell’acqua dalla falda acquifera mediante pompe alimentate proprio da celle fotovoltaiche. Nel 1977 verrà installato il primo impianto. Ora ce ne sono decine di migliaia nel mondo.
Il processo inverso - la trasformazione di una corrente elettrica in luce - è invece l’elettroluminescenza. E anche in questo caso Einstein ha dato alcuni contributi fondamentali, combinando la nascente meccanica quantistica e l’idea di interazione quantizzata con la luce insieme con la termodinamica. Sembra che di quest’ultima disciplina Einstein dicesse: «È la sola teoria fisica di contenuto universale di cui sono convinto che, nell’ambito di applicabilità dei suoi concetti di base, non verrà mai superata». Anche questa ha oggi molte applicazioni, ma una ci accompagna quotidianamente. Sono gli schermi a Led o Oled che guardiamo continuamente e che da qualche tempo portiamo in tasca.
Dagli emettitori di luce, poi, il passo è breve per arrivare al laser, un’altra applicazione dei pensieri originali di Einstein, con applicazioni estese, dalla medicina alla ricerca, dall’industria alla metrologia, fino allo spettacolo. Sono altre prove di come le sue teorie si siano concretizzate su tempi lunghi, in sinergia con altre teorie e con lo sviluppo della tecnologia. È un esempio perfetto di come la conoscenza abbia un valore assoluto. Anche quando non ne vediamo un ritorno immediato.