mercoledì 11 novembre 2015

Repubblica 11.11.15
In Lombardia Sala sarebbe un test per il partito della nazione
Milano e Roma i rebus del premier per tagliare la strada ai Cinque Stelle
Il Pd fatica a schiodarsi da quota 33. E il secondo turno è una roulette. Il partito di Renzi ha bisogno di recuperare voti anche al centro
di Stefano Folli


Il presidente del Consiglio a Milano ha lasciato intravedere la sua preferenza per la candidatura di Sala a sindaco, sia pure in modo reticente (“non posso dire di più...”). Non solo: il programma di creare in una porzione dell’area Expo un grande centro di ricerca equivale a una carta pesante calata sul tavolo in previsione di una campagna elettorale che in un certo senso è cominciata ieri. Difficile pensare che Renzi e il centrosinistra possano perderla, a meno di colpi di scena che a questo punto dovrebbero essere soprattutto extra politici. Era abbastanza prevedibile, peraltro, che il premier cominciasse da Milano la sua rincorsa alle città. Milano è uno dei due centri - l’altro è Roma - che stabiliranno chi vincerà e chi perderà le comunali. Ma in Lombardia, nella “capitale morale”, Renzi si muove molto più a suo agio che nella capitale effettiva e il candidato preferito per la campagna meneghina, appunto Sala, sarebbe l’immagine del “partito della nazione”, con quel tanto di trasversale sinistra-destra che la definizione contiene.
Vincere a Milano con Sala significa, agli occhi del premier, aver fatto metà del lavoro. Vorrebbe dire aver salvaguardato la sostanza del progetto “renziano”, quali che siano gli eventuali rovesci del Pd in altre città. Esclusa Roma, s’intende: dove, come é noto, il Pd è frastornato e confuso dopo la stagione di Marino. Una sconfitta, peraltro assai probabile, in riva al Tevere ridurrebbe in modo drammatico anche la valenza della vittoria a Milano. Ma il meccanismo del ballottaggio aiuta quantomeno a mascherare la disfatta e a mescolare le carte. Se il problema è tagliare la strada ai Cinque Stelle, il secondo turno permette qualche opportuna convergenza sull’altro candidato meglio piazzato, purché - è logico - non sia Giorgia Meloni o un altro esponente della destra.
In altri termini, mimetizzarsi nel ballottaggio dietro una diversa bandiera, purché anti- Grillo, servirebbe al centrosinistra per circoscrivere il danno. Ma al fine di rendere plausibile tale scenario la Meloni non dovrebbe presentarsi; oppure dovrebbe arrivare terza, dietro il centrista Marchini e ovviamente dietro la squadra dei Cinque Stelle. Come si vede, è ancora troppo presto per immaginare la fine di una storia ancora tutta in gran parte da scrivere.
Quel che invece balza agli occhi, è la sostanziale difficoltà per il Pd renziano di allargare la propria area di consensi. I sondaggi lo danno fisso intorno al 32-33 per cento su scala nazionale, tallonato da vicino dal M5S. E con la prospettiva addirittura di perdere la partita al secondo turno, a vantaggio di un ipotetico Mr o Mrs X di ispirazione grillina. Viceversa la piazza di Bologna, dove si è tentato il rilancio della destra leghista-berlusconiana, non avrebbe spostato voti. È il parere, espresso all’Huffpost, di Alessandra Ghisleri che valuta la destra nel suo complesso, da Forza Italia alla Lega ai Fratelli d’Italia, intorno al 30 per cento, sempre sull’intero territorio nazionale.
Gara aperta, quindi. Ma è chiaro che il “partito di Renzi”, se vuole vincerla senza patemi d’animo, ha bisogno di cominciare lo sfondamento verso il centro e in parte il centrodestra. Finora i sondaggi dicono che il premier è molto popolare, mentre il Pd oscilla sempre intorno a quel 33 per cento che rappresenta la quota massima ottenuta già da Veltroni a suo tempo (escludendo quindi il notevole ma estemporaneo 41 per cento renziano alle europee). Con Salvini- Berlusconi fermi sulle loro cifre e i grillini in apparente ascesa, Renzi deve a ogni costo riprendere a crescere. Soprattutto dopo la rottura a sinistra con il gruppo Fassina, è giocoforza che l’espansione si realizzi verso il centro. Del resto, è questo il senso della politica renziana e non da oggi. È la sua scelta strategica, i cui frutti si dovranno cogliere già alle amministrative, in caso contrario avremo un serio ripensamento. A Milano è plausibile che lo scenario si realizzi; a Roma e altrove è “un rebus avvolto in un enigma”, come diceva Churchill dell’URSS.