mercoledì 11 novembre 2015

Corriere 11.11.15
Le girandole di Fassina?
La sindrome dell’escluso
di Antonio Macaluso


Quel «Fassina chi?» pronunciato da Renzi il 4 gennaio 2014 gli deve ancora bruciare come un proiettile mai estratto.
Ferita che né le dimissioni immediate da sottosegretario all’Economia né l’abbandono del Pd nel giugno di quest’anno sono riusciti a rimarginare. E che, passo dopo passo, distinguo dopo distinguo, portano Stefano Fassina al più velenoso degli sfregi al suo ex partito: l’annuncio di essere pronto ad appoggiare candidati grillini alle Amministrative di primavera, a cominciare dalla battaglia per il prossimo sindaco di Roma. Un fallo di reazione (l’ennesima), peraltro non gradito neanche al Movimento 5 Stelle: «Non faremo ammucchiate o alleanze neanche con Fassina». A conferma che la politica deve saper ascoltare cuore e pancia, ma va fatta con la testa.
Di testa, Fassina ne ha mostrata molta come bocconiano di successo, economista rigoroso e preparato, un po’ meno come stratega politico. Prendiamo il rapporto con il suo ex Rettore Mario Monti che, diventato presidente del Consiglio, viene visto ora come «la migliore assicurazione che abbiamo
contro la speculazione», ora come una sorta di nemico del popolo e uomo delle lobby internazionali. Il punto è che, mentre attacca il premier, Fassina è responsabile economico del Pd guidato da Bersani.
Arriva Enrico Letta e la prima reazione di Fassina, dato da molti come probabile ministro dell’Economia ma alla fine non scelto, è che «c’è troppo governo Monti nel governo Letta». Qualche giorno dopo accetta l’incarico da sottosegretario. Con Renzi le cose vanno male da subito ma, fino a quella maledetta sera di gennaio, resiste. Ancora una volta, uomo di lotta e di governo. Si sente più vicino al greco Tsipras, ma poi lo attacca: troppo molle con la linea europea filotedesca. Uscito dal Pd, libera la sua anima comunista. Dimenticare Renzi è una sorta di mantra. E dunque, a sinistra, sempre più a sinistra. Fino ad abbracciare Grillo.