martedì 10 novembre 2015

Repubblica 10.11.15
Un gioco di palazzo
Renzi si compiace di essere sopravvissuto alla “doppia spallata” tentata contro di lui dalla destra leghista e dalla sinistra del Pd
di Stefano Folli


Fassina e i giochi di palazzo su Roma: si sfrutta il risentimento verso il premier come scorciatoia per legittimarsi
Renzi si compiace di essere sopravvissuto alla “doppia spallata” tentata contro di lui, in un arco temporale ravvicinato, dalla destra leghista e dalla sinistra del Pd. La prima avrebbe provato invano a bloccare l’Italia, la seconda sperava di sfruttare la riforma del Senato per far inciampare il governo. Tuttavia entrambe hanno fallito. La tesi è suggestiva, ma alquanto forzata: serve ad alimentare la mitologia del leader saggio, ben saldo al centro degli schieramenti anche quando è attaccato dalla destra semi-eversiva, da un lato, e da una sinistra miope e conservatrice, dall’altro.
La verità è un po’ diversa. Più che ottenere la caduta di Renzi, Salvini a Bologna ha voluto imporre la legge leghista sul quel che resta del mondo berlusconiano: un regolamento di conti in chiave radicale e tutto interno alla destra. Viceversa, la fazione dei Fassina e dei D’Attorre avrebbe, sì, fatto volentieri lo sgambetto al premier in Parlamento, quando si è discussa la riforma costituzionale. Ma non ha mai avuto i numeri sufficienti, soprattutto perché il grosso della sinistra bersaniana è rimasta fedele al partito e alla fine ha votato la riforma, privilegiando l’unità interna. Il che ha voluto dire accontentarsi di un modesto compromesso sul punto nodale dell’elezione dei nuovi senatori, ma è servito come prova di realismo: qualcosa che è ben presente nel bagaglio culturale della vecchia sinistra.
Bersani ne ha parlato poi in un’intervista a questo giornale, facendo capire di avere poco in comune con il gruppetto dei fuoriusciti. Certo, Renzi avrebbe potuto dare atto al senso di responsabilità del suo avversario, ma ha preferito invece enfatizzare la piccola sinistra di Fassina perché essa é molto più utile al suo disegno, dove egli stesso è la vittima designata di attacchi velenosi e concentrici da destra e da sinistra.
Il dato vero - e su questo il premier-segretario vede giusto - è che il gruppo di Fassina e degli ex Sel non ha la forza, però ha la determinazione di far cadere il governo con ogni mezzo lecito. Il che comporta il rischio di passi falsi. Uno consiste nell’annunciare il sostegno al candidato Cinque Stelle a Roma, pur di piazzare una grossa pietra di inciampo sul cammino di Renzi. Come esordio politico, non poteva essere più infelice. Certo, Fassina si riferiva al ballottaggio, quando ogni gruppo farà le sue scelte a favore dell’uno o dell’altro dei candidati in campo. Ma le sue frasi sono apparse controproducenti. Soprattutto perché rivelano l’estrema debolezza del gruppetto scissionista, più che altro un segmento di ceto politico in cerca di visibilità. Prima ancora che siano presentate le candidature per il Campidoglio, si promette il voto a qualsiasi grillino si contrapponga al comune nemico Renzi: non un granché come strategia.
Usare le amministrative per un gioco di palazzo è alquanto spregiudicato. Tuttavia lascia intuire quanto possa essere diffuso l’astio verso il premier. A differenza di Milano, dove l’ipotesi Sala già oggi sembra di gran lunga la più solida sulla carta, l’eventuale secondo turno nella capitale farà emergere questi risentimenti nel recinto del centrosinistra. E il risultato del voto ne sarà condizionato. Fassina e i suoi amici da soli non muovono molti consensi, ma sono la punta di uno stato d’animo che potrebbe consegnare la città ai Cinque Stelle nonostante l’evidente ritrosia dello stesso Grillo che non desidera caricarsi di un tale onere.
Non solo. Il risultato delle elezioni nelle maggiori città sarà determinante per immaginare i prossimi passaggi politici. E cioè se l’Italicum è destinato a restare quello che è oggi o se verrà modificato per convenienza. E soprattutto se il referendum d’autunno sulla riforma costituzionale sarà davvero quella passeggiata che gli ambienti renziani ritengono, convinti di farne il trampolino verso il voto politico. Sulla carta dovrebbe essere così, a meno che a Roma, Napoli e altrove non affiori il rancore, il “non detto” del biennio di Renzi. Qualcosa che esiste e ribolle nella pancia del paese e a cui nessuno, né Salvini né Grillo, ha saputo fin qui dare una forma definitiva.