domenica 8 novembre 2015

La Stampa 8.11.15
Maamoun Abdulkarim, direttore dei Musei e delle Antichità della Siria
“La nostra cultura distrutta nell’indifferenza dell’Occidente”
Parla il direttore delle Antichità siriane: “Abbiamo messo al sicuro il 99% del patrimonio archeologico. Ma Palmira si poteva salvare”
intervista di Flavia Amabile


Un giorno la figlia di Maamoun Abdulkarim, direttore dei Musei e delle Antichità della Siria, ha guardato fuori dalle finestre e ha detto basta. Aveva sei anni, non ne poteva più. Basta con la guerra, con le bombe, andiamo via, papà, lo ha implorato. Il padre ha chiuso le tende, l’ha presa in braccio: va bene, andiamo via, ma sappi che quando sarai grande tuo padre sarà ricordato come quello che ha abbandonato un patrimonio dell’umanità, tutti lo considereranno un vigliacco. Vuoi questo? La figlia lo ha guardato e ha scosso la testa: no, restiamo.
È così che Maamoun Abdulkarim racconta la scelta di rimanere nella sua casa di Damasco, anche se avrebbe avuto mille opportunità di andare a vivere in una situazione meno difficile. Una volta a settimana continua a tenere i corsi all’università, tutti gli altri giorni sta provando a salvare quello che si può salvare delle antichità siriane, come racconta alla vigilia del suo ultimo appuntamento italiano, una conferenza organizzata dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma.
«Svolgo il mio ruolo di direttore dei musei siriani gratis e ne sono orgoglioso. Ma, come sono rimasto io, sono rimasti gli archeologi e i funzionari. Lavorano e fanno parte della famiglia dell’archeologia siriana anche se si trovano in zone controllate dall’Isis e non possono fare molto. Non vogliamo che si sentano abbandonati e vogliamo ricompensarli per tutto quello che hanno fatto in passato per salvare il patrimonio del nostro Paese».
Nonostante il loro lavoro, gran parte dei siti sono distrutti.
«Alcuni siti hanno subito danni molto gravi, si tratta di Aleppo, della zona di Dora Europos e Mari, di Palmira. Ma la Siria conta 10 mila siti e 34 grandi musei con 300 mila oggetti. Ne abbiamo salvato il 99 per cento a differenza di quello che era accaduto in Iraq».
Dove sono?
«Al sicuro a Damasco».
Come siete riusciti a salvare tutti questi oggetti?
«Facendo il nostro lavoro in modo scientifico, senza entrare nel merito della politica, chiedendo il sostegno di tutti, dall’esercito alle comunità locali. Tranne ad Apamea dove i ladri sono riusciti a saccheggiare quasi tutto, abbiamo trovato piena collaborazione e siamo riusciti a raggiungere il nostro obiettivo. Quest’estate un convoglio armato ha portato seimila oggetti da Homs, ma abbiamo usato anche gli elicotteri dell’esercito per i reperti di Deir ez-Zor».
Ha ricevuto indicazioni dal presidente Assad su come procedere nel suo lavoro?
«Nessuna. Ho totale autonomia scientifica e professionale. È quello che mi spinge ad andare avanti, sono libero di fare il mio lavoro come è giusto che vada fatto, contattando chiunque io ritenga opportuno per provare a ridurre il numero dei saccheggi. Così abbiamo salvato siti come Bosra e i mosaici di Maarat al-Numan».
Come sarà la Siria quando terminerà la guerra?
«Sono ottimista e posso esserlo, perché abbiamo lavorato tantissimo. Abbiamo presentato un progetto per il restauro del Krak dei Cavalieri, stiamo ripartendo. Ma mi sento tradito, l’Occidente ci ha abbandonati. Bisogna lasciare la politica fuori dalla cultura. Si può non essere d’accordo con il governo siriano ma non si può lasciare da solo un Paese con un patrimonio che appartiene alla storia dell’intera umanità».
Che cosa dovrebbe fare la comunità internazionale?
«Prima della caduta di Palmira avevo lanciato un appello al mondo intero. Se tutti fossero intervenuti in forze ora Palmira sarebbe ancora in piedi e Khaled al-Asaad, il direttore del sito, non sarebbe stato decapitato. Bisogna trattare il patrimonio culturale come i rifugiati, creare spazi liberi dove la guerra e la politica non entrino, prevedere zone franche come accade con la Croce Rossa quando deve portare il suo aiuto in una zona di guerra».
L’Italia ha proposto e ottenuto il via libera a una task force di Caschi blu che interverranno dove il patrimonio culturale è a rischio.
«È un’idea molto interessante e l’Italia si conferma un Paese che nell’indifferenza generale non ci ha abbandonati del tutto. Ora però c’è bisogno di qualcosa in più, l’Italia deve svolgere un ruolo di motore che porti a considerare la Siria un Paese dove investire risorse per accordi di cooperazione che permettano di salvare questo patrimonio culturale che appartiene a tutti. Soltanto la Germania non ha mai smesso di avere questo ruolo, e solo l’Italia può convincere il resto del mondo a muoversi».
Perché l’Italia?
«Perché il suo ruolo di guida, quando si tratta di cultura, è indiscusso».