domenica 8 novembre 2015

Repubblica 8.11.15
Come nasce un capolavoro
Keith Richards ha svelato che la sua Satisfaction fu scritta nel sonno
Rilanciando il mistero della creazione musicale: misticismo o neuroscienze?
di Angelo Aquaro


Brian Wilson, che era pur sempre un Beach Boy, preferiva il rumore del mare: ma non potendo più andare in spiaggia, ormai preda del suo genio schizofrenico, si fece costruire un box largo quanto il suo pianoforte, lo fece riempire di sabbia e cominciò a comporre con i piedi affondati in quella beach da salotto.
Heroes and Villains nacque così: con il piccolo aiuto di duemila dollari in hashish & marijuana e tanto tantissimo sudore della fronte sotto il sole del soggiorno vetrato di West Hollywood. Le vie della creatività, si sa, sono infinite. I Beatles andarono fino in India per trovare l’ispirazione per l’Album Bianco, anche se il soggiorno al Meditational Course di Rishikesh si rivelò un disastro di convivenza. Passò un anno, 1969, e John Lennon scoprì che bastava andare mica tanto lontano, e infilarsi nel letto di Yoko — il famoso “bed in” — per finire in classifica con
Give Peace a Chance.
Spetteguléss? Ma no: case histories. Il pianoforte sprofondato nella sabbia (artificiale) di Brian Wilson non è infatti che un mirabile caso di “deliberate emotional”, cioè uno dei quattro esempi di illuminazione che il “Creativity Post”, la piattaforma web di Scott Barry Kaufman, psicologo cognitivo dell’Università di Pennsylvania, ha riassunto dagli studi di illustrissimi prof, da Antonio Damasio in giù. E cosa sarebbe dunque la creazione per “deliberate emotional”? Semplice: l’atto creativo legato all’”Ah! moment”, l’attimo in cui si accende una luce che rimanda a un’“emozione positiva”, uno scatto del pensiero «correlato a una significativa attività dell’amigdala», la struttura del cervello che gestisce le emozioni. Come diceva E. T.? «Telefono, casa». E come ragionava il cervellino devastato di Brian Wilson? Sabbia, canzone.
Chiariamo. «Ci sono molti modi di comporre e molti modi di interpretare questi tipi di processi» ha spiegato a Repubblica Daniel J. Levitin, il grande neuroscienziato autore di Il mondo in sei canzoni. E non è neppure detto che seguire le istruzioni per l’uso sia la via migliore. Anzi. «Paul McCartney, che aveva cominciato da autodidatta, temeva che scoprire i meccanismi alla base della creatività avrebbe finito per limitare la sua». Per questo il libro del prof non l’aveva neppure voluto leggere.
Eppure se ne fanno di scoperte sfogliando certe ricerche. Prendiamo, per esempio, proprio John & Yoko: non ci troviamo, qui, di fronte a quello che Kaufman chiamarebbe “spontaneous cognitive process”? Give Peace a Chance è il primo singolo a firma Lennon fuori dai Beatles. Cos’era successo? Spiegazione psico-emotiva: per recuperare la vena creativa John non aveva saputo fare di meglio che rinchiudersi nel suo letto (con Yoko). Spiegazione neo-cognitiva: la “cognizione spontanea” si verifica quando «il soggetto abbandona il contesto in cui si cerca la soluzione del problema» (leggi: John abbandona i Beatles in crisi di creatività) e «dirige la sua attenzione verso un oggetto completamente diverso» (leggi: si infila nel letto di Yoko). Liberando, ovviamente, la chimica del caso. «Ora i gangli della base del cervello, ricchi di dopamina, operano al di fuori dello stato di coscienza. La ricerca vana di nuove soluzioni porta al blocco mentale. Ma appena il soggetto si rivolge a un’attività diversa, la corteccia prefrontale, preposta al pensiero creativo, connette le informazioni in modi nuovi, con processi inconsci». E già. Gli antichi la facevano breve: cantami o diva. Altri tempi: il mito, per noi, è ormai muto. E pure un po’ bugiardo. Vedi l’ultima provocazione di Keith Richards, che alla Bbc ha confessato che «le droghe non aiutano minimamente
quando devi comporre musica, anzi: Satisfaction è stata scritta a letto». Ma andiamo: senza le droghe certa musica non sarebbe mai esistita. L’ha ammesso perfino Sir Paul nella storica intervista con Uncut: certo che i Beatles componevano (anche) da stonati. «Una canzone come Got to Get You Into My Life si rifà alla marijuana. Day Tripper è sugli acidi. E Lucy in the Sky with Diamond, beh, ovvio»: ovvio, è già nell’acronimo la lode all’Lsd. Non solo. In The Creative Cognitive Approach tre professoroni come Steven M. Smith, Thomas B. Ward e Ronald A. Finke hanno stabilito una volta per tutte — 1995 — che «i processi mentali sono l’essenza del fenomeno creativo». I processi mentali — l’abbiamo appena visto — sono essenzialmente processi chimici. E discutiamo ancora dell’effetto delle droghe?
Ma sentiamo di nuovo Keith. «Scrissi Satisfaction nel sonno. E non avevo neppure idea di averla scritta» ricorda, stavolta nell’autobiografia Life.
«Fu solo, grazie a Dio, per quel vecchio Philips. Miracolo fu che, quella mattina, lo cercai, ricordando che la notte prima ci avevo infilato una cassetta vergine. Notai, però, la cassetta che era già alla fine. Così schiacciai “riavvolgi”: e trovai Satisfaction. Era giusto un abbozzo: e poi 40 minuti di me che russavo! Ma quello scheletro era tutto quello di cui avevo bisogno». Ora: già uno che si sveglia nel cuore della notte, sbraita Satisfaction nel registratore e risprofonda russando nel letto, beh, non è che dovesse essere proprio nel pieno di sé. Ma droga o non droga: quello che colpisce non è l’alone divino dell’ispirazione? «Grazie a Dio», dice l’uomo che aveva Sympathy for The Devil. Di più. L’ispirazione arriva in una sorta di trance. Addirittura nel sonno, dice: neppure fosse Schopenauer. «Il compositore ci rivela la natura più intima del mondo esprimendosi in un linguaggio che la ragione non comprende » scriveva il vecchio Arthur un secolo prima dei sogni di Jorge Luis Borges: «Proprio come un sonnanbulo». Dormire, forse sognare: comporre?
Sì, forse sarà meglio tornare con i piedi per terra. E più che ai filosofi affidarci alla saggezza dell’uomo senza cui, ora, non potremmo neppure a parlare di rock e canzoni. Perché l’adagio di Thomas Edison, l’inventore del fonografo e in un certo qual modo — dirà Walter Benjamin — dell’”opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica” — sarà pure risaputo. Ma sostenere, come faceva Tommasino, che il genio è per l’1 per cento “inspiration” e per il 99 per cento “perspiration”, cioè sudore e fatica, è praticamente affermare con altri mezzi quello che gli scienziati chiamano “deliberate cognitive process”: l’atto creativo che nasce cioè «dal lavoro continuato e metodico», la corteccia prefrontale stimolata «dall’attenzione focalizzata » del soggetto, dalle «connessioni di informazioni già immagazzinate».
Il genio assoluto, dunque, non esiste? È solo una questione di ginnastica, seppure mentale? Tranquilli, tranquilli. Il solito Scott Barry Kaufman riassume anche un quarto e ultimo meccanismo creativo: quello «spontaneous emotional process, comunemente definito come “epifania”», che emerge «quando l’attività neuronale nell’amigdala si accende spontaneamente». Proprio come deve essere avvenuto, nel sonno più o meno drogato, al nostro Keith. Eccola qui, allora, la spia del genio: l’illuminazione, notturna o diurna, è scientificamente provata. Anche se... «Anche se per utilizzare poi queste intuizioni» continua l’ipotesi cognitiva, occorre che l’aspirante compositore «sia già in possesso di particolari abilità tecniche ». Come dire: no Satisfaction senza “inspiration”. Ma soprattutto: no Satisfaction senza tanta tantissima “perspiration”. Tantissimo sudore della fronte: proprio come sotto il sole — vero o artificiale — di quel matto dei Beach Boys.