sabato 7 novembre 2015

La Stampa 7.11.15
“Faremo il ponte sullo stretto di Messina”
Matteo rovescia i “non si può” della sinistra
Dalla Tav all’Expo,lo strappo contro la minoranza del Pd e il fascino delle grandi opere
Il segretario-presidente e l’arma della modernità contro la vecchia sinistra
Ma l’obiettivo non è solo quello di far fare un altro salto al Pd: velocità, crescita e immagine internazionale sono essenziali
di Federico Geremicca


Il primo commento è stato di Pippo Civati: «Quello che non ha fatto Berlusconi, lo fa il Pd». Il secondo, di Paolo Ferrero, leader di quel che resta di Rifondazione comunista: «Parole vergognose». Ecco, se uno degli obiettivi per i quali Matteo Renzi ha ritirato fuori da cassetti polverosissimi il progetto-chimera del Ponte sullo Stretto era far infuriare la sinistra-sinistra (per tornare a marcarne la distanza e la diversità) bene: l’obiettivo è raggiunto.
Da stamattina, insomma, i «nemici a sinistra» di Matteo Renzi - e in testa a tutti i democratici delusi, che oggi fondano «Sinistra italiana» - hanno un altro argomento per caricare il premier-segretario a testa bassa: vuole il Ponte sullo Stretto. Una bestemmia, un alto tradimento, simile - se non più grave - ad altri sfregi compiuti da Renzi a danno di quella sorta di immutabile Pantheon ideal-programmatico della sinistra storica italiana.
Degli esempi? La fine dell’intoccabilità di sindacati e magistratura; il concetto di «merito» che prende il posto di quello di «uguaglianza»; e poi l’attacco all’articolo 18, l’abolizione della tassa sulla casa, il tetto dei contanti spendibili innalzato fino a 3mila euro e via elencando. Uno choc dietro l’altro per una sinistra che - per tanti versi - sembra avere ancora i piedi impantanati nel secolo scorso. E svolte, correzioni di rotta e perfino polemiche feroci e traumi che Matteo Renzi sembra quasi studiare e ricercare a tavolino...
L’obiettivo di una tale ricerca può essere doppio. Quello meno contundente potrebbe consistere nel tentativo (giusto o sbagliato lo diranno prima gli elettori e poi la storia...) di far fare un salto in avanti al Pd - ed alla sua sinistra, prima di tutto - sulla via di posizioni e programmi che siano meno segnati dall’ideologia e dalla tradizione. In questo senso, il riferimento quasi obbligato, naturalmente, è la «rivoluzione» che Tony Blair impose ad un Labour confuso, affaticato ed in declino.
Da questo punto di vista, bisogna dire che le innovazioni - di stile, di programma e perfino di linguaggio - che Renzi sta tentando di imporre al maggior partito-contenitore di quella che fu la sinistra storica italiana, sono profonde ed evidentissime: tanto profonde da poter essere considerate addirittura più dolorose e radicali di quelle (e non furono né poche né irrilevanti) che vennero imposte al vecchio Pci dal declino dell’ideologia comunista e dal crollo del muro di Berlino.
L’altro possibile obiettivo di Matteo Renzi, se perseguito fino in fondo, potrebbe - al contrario - produrre un vero e proprio terremoto politico (e le prime scosse già si avvertono forti e chiare): dimostrare l’impossibilità di una convivenza sotto lo stesso tetto dell’antico e del moderno, del tradizionale e del post-ideologico, dell’ala storica e di sinistra del Pd - insomma - e di quella renziana e moderata. E’ una ipotesi non da escludere e sostenuta, anzi, dall’apertura delle porte del Pd a gruppi e singoli del tutto estranei alla storia ed alle tradizioni del centrosinistra italiano: quasi la ricerca di una contaminazione per allargare l’orizzonte (e il consenso elettorale) del Partito democratico.
Ma c’è probabilmente dell’altro nella prudente apertura renziana al Ponte sullo Stretto («Si farà, il problema è quando...»). Si tratta di quella sorta di fascinazione che Renzi non fa mistero di subire - e di indicare come obiettivo - rispetto alle sorti magnifiche e progressive del nostro Paese: la crescita, lo sviluppo e perfino l’identificabilità dell’Italia da rappresentare e mostrare - appunto - attraverso le grandi opere. Sono certo importanti il Colosseo e Firenze, Pompei ed altri capolavori dell’arte e della storia per far grande l’Italia: ma non basta. Nell’idea del premier-segretario (40 anni: e l’anagrafe in questo caso non è indifferente) la sfida del futuro si gioca sulla velocità, sulla modernità e sulla crescita: che le grandi opere, appunto, possono sintetizzare al meglio.
Non ce ne è una - realizzata o da realizzare - che non venga sostenuta e spiegata dal premier in questa chiave. L’Expo (pure grande opera transitoria, per dir così) è stato trasformato in un modello, in un esempio delle «capacità italiane». E lo stesso discorso - nonostante denunce, proteste e scandali - vale per la Tav o per il Mose. Il lavoro di Renzo Piano a Genova è un altro esempio da seguire, perchè un Paese che cresce e che cambia può dimostrarlo - anzi, deve dimostrarlo, secondo il premier - anche attraverso la trasformazione del suo profilo architettonico e urbano.
Perché la Francia deve avere la torre Eiffel - simbolo potente ma opera inutile - e l’Italia non può avere il Ponte sullo Stretto, che in fondo servirebbe pure? Adesso, dice Renzi, il Sud ha altre emergenze: ma quando saranno superate «la storia, la tecnologia e l’ingegneria andranno nella direzione del Ponte, che diventerà un altro bellissimo simbolo dell’Italia». Il futuro insomma è scritto: e appartiene alle grandi opere. Alla faccia di quel che pensano quei gufi tristanzuoli della sinistra pd. E anzi della sinistra tutta, più in generale...