giovedì 5 novembre 2015

La Stampa 5.11.15
Herr Pirandello tradito dalla sua Germania
Dall’innamoramento alla delusione: il rapporto complesso dello scrittore con il Paese dove si laureò
di Luigi La Spina


Innamoramento, scontro e, da ultimo, delusione. Segnano le tappe del rapporto, comunque profondo, di Luigi Pirandello con la Germania. Il grande scrittore e commediografo agrigentino studia e si laurea a Bonn nel 1891, dopo i contrasti con il suo docente di latino a Roma. Un primo «esilio» all’estero che, in realtà, si rivela una scelta felice, sia dal punto di vista culturale, sia da quello umano, come testimonia la raccolta poetica di quegli anni, intitolata Pasqua di Gea, dove, con delicata leggerezza giovanile, racconta la sua storia d’amore con la figlia dell’albergatore che lo ospita. Pirandello pensa addirittura di trasferirsi definitivamente a Bonn, insegnando in quella università, ma l’occasione dell’incarico sfuma e così, nella primavera del 1891, ritorna a Roma.
A Berlino con Marta Abba
Più conosciuto è il secondo «esilio» tedesco dello scrittore, tra il 1928 e il 1930, molto più tormentato. Pirandello, a Berlino, cerca di lanciare la sua prediletta Marta Abba su un palcoscenico internazionale, ma, dopo un anno, l’attrice - di cui il corrispondente della Stampa, Corrado Alvaro, scrive come «la donna che Pirandello aveva collocato in cima ai suoi pensieri» - ritorna in Italia. Un abbandono intristito dalle beghe, persino giudiziarie, con il traduttore e punteggiato dalle alterne fortune delle sue rappresentazioni teatrali.
Pirandello non andò più in Germania, se non nel 1936, per un breve soggiorno a Berlino durante il quale manifestò la sua delusione con parole molto amare: «Berlino è quasi spenta, non produce più nulla». Il nazismo aveva bandito le sue opere, tradotte da un ebreo, e lo scrittore denunciò l’oscurantismo di Goebbels così: «Qua ci vuole l’autorizzazione per tutto e per tal riguardo si sta molto peggio che da noi».
Il suo zibaldone
Uno squarcio significativo dell’influenza della cultura tedesca nella formazione intellettuale di Pirandello viene rivelato, ora, dagli inediti pubblicati sull’ultimo numero della rivista del Pen, l’edizione italiana diretta da Sebastiano Grasso con la collaborazione di Marina Giaveri, tratti dal Taccuino di Bonn, conservato alla Biblioteca-museo di Agrigento, intitolata al siciliano premio Nobel del 1934. Questo zibaldone di lettere, poesie, appunti, riflessioni letterarie, analisi storiche e sociali sulla Germania nel quadro delle vicende europee documenta con quanto entusiasmo, ma anche con quanta profondità di interesse e di comprensione, il giovane Pirandello si avvicini a un Paese di cui, all’inizio del suo soggiorno di studi, sapeva a malapena la lingua. A questo proposito, in una lettera a un amico, confessa: «Studio il tedesco, perché è vergogna massima non conoscerlo».
Il testo che pubblichiamo in questa pagina dimostra la lucidità intellettuale con la quale, sia pure sinteticamente, Pirandello, poco più che ventenne, individua le componenti letterarie, politiche e religiose sulle quali si fonda la rinascita della cultura tedesca tra il XV e il XVI secolo. Un disegno suggestivo e illuminante di una vicenda molto complessa, colta con rapida intelligenza e con grande capacità di analisi. Gli scritti del giovane studioso di cose tedesche spaziano, in questo «taccuino», in molti campi di interesse, dalle poesie Elegie boreali (queste invece già pubblicate con il titolo Elegie renane) ad accurati resoconti di viaggi, come quello sulla visita alla casa di Goethe.
«Durissima esperienza»
Le lettere ai familiari, durante questi due anni di soggiorno a Bonn, raccontano il compiacimento per la scoperta di un Paese affascinante, ma anche l’ammissione di una «durissima esperienza di studio». Testimoniano l’entusiasmo con il quale Pirandello apprezza la città: «È una bellissima cittadina in riva al Reno, una delle più belle, anzi la più bella addirittura ch’io abbia mai veduto». Rivelano un preciso progetto culturale: «Ho avuto, e ho, e avrò molto, molto, molto da fare. Oltre agli studi universitari, che sono pesantissimi, mi occupo della lettura dei commediografi latini Plauto e Terenzio, per farne un serio confronto con la commedia nostra del Cinquecento»
Durante i primi mesi del soggiorno a Bonn riesce pure a scrivere un saggio critico intitolato Petrarca a Colonia, ma si dedica soprattutto alla materia che più lo affascina, la filologia romanza. sotto la guida del suo maestro, il professor Foerster. Finché arriva l’annuncio trionfale, ma anche traditore, in una lettera alla adorata sorella Lina: «Vi comunico, miei cari, che in aprile sarò dottore in Filologia romanza e che appena ottenuta la laurea e il titolo passerò a insegnare Lettere italiane in questa università di Bonn, con un emolumento annuo di circa 4 mila lire italiane, suscettibili d’illimitato aumento, oltre il provento delle iscrizioni al mio corso e una indennità d’alloggio. Di ciò vado debitore al professor Foerster, del quale, non so perché, mi sono accattivato tutta la simpatia».
Era il marzo del 1891. Ma il mese dopo, la vita di Pirandello, improvvisamente, prende una via diversa, quella del ritorno in patria, a Roma. La Germania perde un futuro brillante professore, ma l’Italia acquista un futuro premio Nobel.