La Stampa 3.11.15
Quei 101 nomi che terrorizzano il Campidoglio
di Marcello Sorgi
Tra le prime grane che si troveranno ad affrontare i due nuovi consoli di Roma, i prefetti Francesco Paolo Tronca, commissario del Comune, e Franco Gabrielli, commissario del Giubileo, c’è indubbiamente la cosiddetta «lista dei 101» desecretata ieri dopo quattro mesi.
La lista, che contiene un lungo elenco di funzionari, dirigenti e politici del Campidoglio che avevano rapporti con Carminati e Buzzi, i due principali imputati di Mafia capitale e gli inventori del sistema di corruzione che agiva indisturbato, sia con la giunta Alemanno, sia, all’inizio, con quella Marino, rischia di ridurre definitivamente in poltiglia ciò che resta dell’amministrazione comunale di Roma, vale a dire gli uffici a cui i due consoli, per non dire l’intero governo, dovevano appoggiarsi per far ripartire la città, in vista del Giubileo e delle prossime elezioni amministrative di primavera. Il documento è abbastanza esplicito: «Il condizionamento mafioso - vi si legge - si è realizzato secondo schemi e copioni non intaccati dal cambio di amministrazione».
Ciò spiega la cautela con cui il ministro dell’Interno Alfano, il primo a ricevere la relazione prefettizia con i nomi, l’ha maneggiata finora, d’intesa con Renzi, aspettando di capire che fine avrebbe fatto la crisi politica romana. In un primo momento, infatti, sembrava che la relazione prefettizia che accompagnava la lista, messa giù dal predecessore di Gabrielli, l’ex-prefetto Pecoraro, e basata sugli accertamenti della prefettessa che aveva coordinato l’indagine fin dal dicembre 2014, Marilisa Magno, potesse addirittura portare allo scioglimento per mafia del Comune. Una misura estrema, già adoperata a Reggio Calabria a seguito di un’altra inchiesta del procuratore Pignatone. Ma che se replicata a Roma, per il clamore internazionale che avrebbe destato, avrebbe fatto apparire l’intera Italia governata dalla mafia; tra l’altro da una mafietta locale, di quelle che i veri boss di Cosa nostra avrebbero disprezzato. Di qui una sorta di raccomandazione del prefetto Gabrielli, succeduto a Pecoraro, che nel consegnare al ministro dell’Interno la lista a luglio di quest’anno, ribadendolo ufficialmente ancora ieri, ammoniva dal non fare di tutta l’erba un fascio e dal non considerare di per sé tutti i nomi, prima ancora che siano resi noti, come membri organici di Mafia capitale.
Ma anche se di distinguere opportunamente le responsabilità personali da quelle oggettive, i reati veri e propri dalle omissioni e dalle intimidazioni, si occuperà il procuratore Pignatone, che conta di portare la lista già alla terza udienza del processo che si apre giovedì al Palazzo di Giustizia di Roma, si può già prevedere che gli effetti politici e quelli giudiziari della pubblicazione dei nomi viaggeranno su due orbite diverse. E mentre i giudici del Tribunale si incaricheranno di separare i colpevoli dagli innocenti, la lista si trasformerà in un caso politico a tutto tondo, che anticiperà l’apertura della campagna elettorale per il nuovo sindaco della Capitale e terremoterà l’amministrazione del Campidoglio già in precario stato di salute.
Il governo sarà chiamato a spiegare (l’opposizione di centrodestra lo sta già chiedendo) se il ritardo nella pubblicazione dei nomi non sia stato causato dalla volontà politica di ammortizzare il botto dello scioglimento del consiglio comunale, arrivato alla fine per l’esito dello scontro tra il Pd e Marino, e non per le temute e assai più infamanti cause di mafia. E tutto ciò, senza alcun riguardo per le effettive responsabilità di funzionari che, in uno scandalo nato in parte alle spalle dei politici, dovranno essere accertate nel processo, ma non faranno in tempo ad essere definite prima che lo scontro politico deflagri e travolga tutti incondizionatamente.
Così che, con le dovute avvertenze e con le evidenti differenze tra ieri e oggi (e tra un ieri di 34 anni fa, ormai entrato nella storia) torna alla mente lo scandalo P2: anche in quel caso - si era nel 1981 - il governo Forlani traccheggiò prima di rendere noti i nomi allineati con cura dal burattinaio della loggia segreta Licio Gelli. Ma poi dovette pubblicarli: ne uscì una singolare selezione dell’allora classe dirigente, politici, alti funzionari, magistrati, generali, giornalisti, che da un giorno all’altro dovettero lasciare i loro incarichi e presto una legge fatta approvare dal governo Spadolini mise ai margini della società. Col tempo si comprese che molti di loro si erano associati per leggerezza o comunque senza rendersi conto, o senza essere perfettamente consapevoli, che l’adesione alla loggia era in contrasto con le loro responsabilità. Si capì anche che Gelli altri non era che il rappresentante italiano di una delle tante agenzie americane che prosperavano ai tempi della guerra fredda, in un Paese come l’Italia, che le amministrazioni americane, democratiche o repubblicane che fossero, consideravano alla stregua di una colonia. Gelli, il materassaio di Arezzo, era anche un personaggio singolare, un raffinato ricattatore, uno che spaventava i potenti che andavano a trovarlo facendogli vedere la foto del Papa che nuotava nudo.
Trent’anni dopo, per fortuna di tutti, la situazione internazionale e la stessa realtà italiana sono molto cambiate. Ma coincidenza vuole che la vigilia della pubblicazione della lista del Campidoglio capiti nello stesso giorno in cui il Vaticano rende noto un nuovo scandalo, basato su una fuga di documenti ai danni di Papa Francesco. Per quanto se ne sa, non c’è alcun legame tra le due storie. E tuttavia, nel clima avvelenato che si respira nella Capitale, un pizzico di attenzione in più nella pubblicazione dei 101 nomi non avrebbe certo guastato.