lunedì 23 novembre 2015

La Stampa 23.11.15
“Nella periferia di Roma stranieri meno isolati e più occasioni di crescita”
di Fabio Martini


Oramai esiste una «via italiana» all’integrazione degli immigrati, una via controversa, non uniforme e meno «reclamizzata» rispetto ai modelli delle banlieue parigine e delle innercities londinesi, ma con caratteristiche tali che finora hanno impedito alle nostre periferie di trasformarsi in polveriere. Lo sostiene un interessante rapporto del Censis «Rischio banlieue per Roma?» che, pur circoscrivendo l’analisi alle periferie della capitale francese e di quella italiana, consente di allargare il campo visivo a tutta la realtà nazionale. Spiega Massimiliano Valerii, nuovo direttore generale del Censis: «La delusione per la mancata ascesa sociale è un propellente molto più forte in Francia rispetto all’Italia, dove nel periodo 2012-2015 i titolari di impresa stranieri sono aumentati del 12,9% mentre le imprese guidate da italiani sono diminuite del 4,7%. Per un complesso di ragioni storiche e sociali, nelle banlieue parigine si determina una concentrazione di luoghi escludenti, nei quali finisce per incepparsi il meccanismo relazionale: l’Islam diventa la grammatica quotidiana e quindi anche un veicolo di rancore».
Una «apartheid» sociale e urbanistica ancora prima che religiosa, quella di Parigi, nella quale l’Islam diventa un propellente? Certo la realtà di Roma è diversa da quella più critica del Triveneto, certo l’immigrazione di religione musulmana in Italia non ha assolutamente le proporzioni di quella francese, eppure anche la situazione romana è interessante: anche perché in evoluzione, con una possibile evoluzione negativa. A Roma l’immigrazione straniera è diventata una componente strutturale della città: «Gli stranieri iscritti in anagrafe sono 363.000, più che raddoppiati rispetto al 2000 (+115%), mentre gli italiani sono diminuiti del 5,2%», «l’incidenza sulla popolazione complessiva è passata dal 6% del 2000 al 12,7% del 2014» e quanto alla demografia «è stata salvata dalle donne immigrate: il saldo è ancora positivo (+2%) grazie agli stranieri».
Certo, a Roma convivono diverse confessioni religiose (i musulmani sono il 20% rispetto al 30% di ortodossi della comunità rumena), ma il vero valore aggiunto è rappresentato finora dalla mancanza di zone ad altissima concentrazione di immigrati. In sostanza le periferie romane «sono più coese delle banlieue parigine», anche perché a Roma c’è un «interclassismo» sociale ed etnico sia nei quartieri centrali che in quelli periferici che «finora l’ha preservata dal costituirsi di territori come veri e propri “santuari” del disagio sociale». Finora, perché nell’ultimo periodo si sta intensificando la concentrazione, in particolare dei musulmani, nel quartiere di Centocelle e dunque anche la diversità romana sta diventando a rischio.
Dall’analisi parallela della banlieue parigina per eccellenza, la Seine Saint Denis, si scopre che in tutto il dipartimento c’è una presenza media del 28,4% di stranieri, ma la quota sale in alcuni comuni del dipartimento a oltre il 42%. E da queste percentuali sono escluse le seconde e terze generazioni, i cosiddetti beurs, perché sono francesi a tutti gli effetti.
Quartieri nei quali la concentrazione etnica si incrocia con la concentrazione di disagio sociale: accanto ad un tasso di povertà del 24% e ad una quota di proprietari della propria abitazione del 26%, «l’islam è molto visibile per le macellerie che si definiscono hallal, per la presenza di donne che indossano l’hijab e per la molteplicità di organismi sociali e culturali che vi si richiamano esplicitamente» e quindi «se è una forzatura l’immagine della banlieue islamica come corpo straniero in terra di Francia, è però indubbio che in alcuni contesti», «l’islam si è andato affermando come un potente organismo identitario, organizzativo, socio-culturale, capace appunto di veicolare senso di appartenenza, modelli di comportamento e sistemi di regole in grado di imporsi in contesti connotati da alto rischio di anomia».