lunedì 23 novembre 2015

La Stampa 23.11.15
L’Italia decida il suo ruolo sul campo
di Stefano Stefanini


Dopo Parigi nulla è più come prima, non solo perché Bruxelles chiude la metropolitana e vengono reintrodotti i controlli alle frontiere.
La risposta militare taglia fuori, almeno per ora, Ue e Nato.
Le capitali che la decidono si consultano fra loro. Per la politica estera italiana vengono così meno i cardini di riferimento.

L’Europa si asserraglia mentre la Francia prepara l’offensiva contro lo Stato Islamico. Avrà probabilmente a fianco Londra. Cameron viene oggi a parlarne con Hollande; avrà poi bisogno dell’approvazione parlamentare. Nessun altro Paese europeo dà segno di volersi impegnare militarmente contro Isis più di quanto stesse facendo prima degli attacchi contro Parigi (cioè poco). La risposta ad un’aggressione in Europa (Francia) va delineando un’alleanza che avrà più di atlantico (Stati Uniti, Regno Unito) e di continentale (Russia) che non di europeo.
Il terrorismo rimette insieme i vincitori della Seconda guerra mondiale. Sostenendoli, il resto dell’Europa si troverà dalla parte giusta della storia. Dovrà però fare i conti con un non indifferente riordinamento di scenario internazionale. I quattro (tre se Westminster non dà luce verde) si giocano credibilità, impegnano risorse, incorrono in costi e corrono rischi. Data la determinazione e l’enorme superiorità di mezzi, tutto fa pertanto pensare ad un lieto fine, con la disfatta militare e l’annientamento dello Stato Islamico. Non è detto che garantiscano la futura stabilità della Siria; la strada per l’eliminazione del terrorismo sarà ancora lunga. Ma si sarà chiusa una fase.
I quattro Paesi, insieme ai fondamentali partners regionali (Turchia, Iran, Arabia Saudita in primis), decideranno come riportare ordine dove Isis ha seminato caos e barbarie. Saranno i Paesi che contano in Medio Oriente. Gli Usa lo sono sempre stati; per la Russia è il grande ritorno; per Francia e Regno Unito una faticosa riconquista. Parigi e Londra non vorranno cederla o condividerla con altri. Con l’Ue? Forse a parole. L’Unione siederà al tavolo, anche come ufficiale pagatore. Poco più. Le nazioni che, con sacrifici e rischi, avranno liberato il mondo da Isis saranno le nazioni che gestiranno politicamente il dopo Isis.
L’Italia si è appena guadagnata un posto al tavolo del negoziato sulla Siria. Questo prima degli attentati del 13 novembre. Non lo perderà, ma solo chi s’impegna oggi sul campo avrà accesso alla stanza dei bottoni. La soluzione militare (sconfiggere Isis) precede quella politica (porre fine alla guerra civile in Siria). Niente pace in Siria finchè a Raqqa sventola la bandiera nera del califfato. In Europa, solo due Paesi possono dare allo sforzo alleato un contributo apprezzabile e sostegno all’economia delle operazioni: Germania e Italia. Che parte intendono recitare nel nuovo scenario?
Berlino può permettersi di rimanere nelle retrovie contro Isis; rimane protagonista nei rapporti con la Russia e indiscusso leader, comunitario, economico, nell’Ue, dalla crisi rifugiati a quella, sempre in agguato, dell’euro. Non così l’Italia che, negli ultimi vent’anni, ha spesso compensato incertezze di tenuta politica con le missioni militari.
Berlino e Roma dovranno presto scoprire le carte. Questa settimana Hollande incontrerà Merkel (dopo Cameron, Obama e Putin). Parigi chiederà ai partners Ue che contributi militari intendano dare ai sensi del Trattato di Lisbona.
Finora la linea del presidente del Consiglio è stata di grande prudenza. L’Italia si tiene in riserva per assumere la guida di una futura missione in Libia. Il passar del tempo e l’insorgere di altre emergenze rischiano però di farne un «aspettare Godot», che non arriva mai; intanto l’Italia si rende avara di quella solidarietà di cui potrebbe aver bisogno proprio per la Libia. Si aggiunge un coacervo di cautele. I vincoli di bilancio sono stringenti. Il Giubileo è alle porte. L’Italia non è stata direttamente aggredita. Bombardare Isis ne farebbe un bersaglio. Nella tempesta del dopo-Parigi meglio navigare con i terzaroli.
E’ una politica estera che punta a cavarsela senza danni. Razionale. Ma con un costo. L’Italia deve essere pronta a pagare in diminuita statura internazionale quello che (forse) guadagna in costi e sicurezza. Senza poter molto contare su reti di sicurezza a Bruxelles o a Washington. Basta sapere quello che vogliamo.