domenica 22 novembre 2015

La Stampa 22.11.15
Ian Buruma: “Nelle moschee solo imam nati e cresciuti da noi”
“Per riformare l’Islam bisogna partire da quello europeo”
di Paolo Mastrolilli


Rafforzare i controlli alle frontiere europee, partendo dall’adozione di una legge per l’immigrazione legale; dare ai giovani musulmani nati e cresciuti nel continente abbastanza ragioni per preferire la vita alla morte; ma soprattutto riformare l’islam, cominciando proprio a casa nostra. È la strategia in tre punti che il professore di Democrazia e diritti umani al Bard College Ian Buruma suggerisce all’Europa, oltre alle necessarie misure immediate di sicurezza, per affrontare nel lungo periodo l’emergenza del terrorismo.
Rafforzare i controlli sugli ingressi nel continente, attraverso una legge sull’immigrazione: perché?
«Al momento l’Europa non ha un canale per l’accesso legale delle persone che vogliono venire per motivi economici. Questo le costringe a mentire, fingendo di essere rifugiati politici, e ciò compromette l’intero sistema. A causa del calo demografico, avremmo bisogno degli immigrati, soprattutto quelli istruiti in fuga dalla Siria. Dobbiamo però creare un sistema che consenta a loro di venire, e a noi di selezionare gli accessi, in modo poi da poter controllare meglio le frontiere esterne del continente».
Dare ai giovani musulmani nati e cresciuti in Europa abbastanza ragioni per preferire la vita alla morte. Cosa vuol dire?
«Questa ondata di violenze è cominciata con le proteste nelle periferie di Parigi, che non avevano nulla a che vedere con l’islam. Quello era il risentimento di persone non integrate, che faticavano a trovare lavoro e condizioni decenti di vita. L’islam radicale poi è diventato lo sfogo di questa rabbia, quando non sono arrivate risposte. Abdelhamid Abaaoud, invece, era un giovane integrato che aveva frequentato una buona scuola. Qualcosa è accaduto poi nella sua vita, che ne ha fatto un terrorista. Queste persone sono nate e cresciute nel continente, sono cittadini dei nostri Paesi, e non ha senso parlare di espulsioni o altri provvedimenti simili. Bisogna invece integrarle meglio, aiutarle a trovare lavoro cambiando le modalità del mercato, in modo da renderle meno vulnerabili alla propaganda dell’islam radicale».
Ma è colpa del nostro sistema, che li emargina, o dell’islam radicale, che li spinge alla violenza?
«Entrambi gli elementi sono importanti, si muovono appaiati. Proprio per questo, però, è necessario diminuire le motivazioni che espongono questi giovani alla retorica jihadista, facendo preferire loro la morte in un’azione terroristica alla vita».
E sull’altro elemento, cioè il fondamentalismo, come possiamo intervenire?
«Non c’è dubbio che questa emergenza, al di là delle misure contingenti per difenderci nell’immediato o fermare la guerra in Siria, si risolverà solo con la riforma dell’islam. Però non possiamo aspettare che essa avvenga nei Paesi arabi e musulmani».
Quindi lei cosa propone?
«Quello che ha già suggerito lo studioso francese Oliver Roy, e cioè la “europeizzazione” dell’islam. La riforma, in altre parole, dobbiamo cominciarla noi sul nostro continente».
E come?
«Partendo dalle moschee dove si professa la fede, e si costruiscono i cittadini. Il punto non è chiuderle, ma farle gestire da imam nati e cresciuti in Europa, invece di prenderli dalla Siria o l’Arabia. Persone che condividono genuinamente i nostri valori, e li trasmettono ai fedeli, pur restando liberi di praticare la loro religione come credono».