Repubblica 22.11.15
lain Finkielkraut.
Secondo il filosofo “con l’Unione europea abbiamo voluto instaurare il regno della pace perpetua. Ma il nostro grande sogno si è frantumato davanti alla realtà
dell’islamismo. Che non ha mai fatto mistero dell’odio”
“Addio illusioni stiamo vivendo la fine della Fine della Storia”
di Vincent Tremolet de Villers
A una settimana dal 13 novembre, il filosofo Alain Finkielkraut (autore de L’identità infelice, tradotto da Guanda, ndr) esprime il suo avvilimento e la sua preoccupazione e si pronuncia con contro “l’etnocentrismo della cattiva coscienza dell’Occidente”. Le sue parole severe suscitano un’eco profonda nell’inconscio collettivo. Da molti intellettuali del suo Paese è regolarmente definito un “populista” che guida lo stormo “degli uccelli di sventura”.
La parola “guerra” è sulla bocca di tutti. Qual è il sentimento che prevale in lei?
«L’avvilimento e persino la disperazione. La sparizione delle grandi ideologie poteva lasciar sperare nell’avvento di un mondo unito e pacificato secondo la triplice entità costituita dell’economia di mercato, internet e i diritti dell’uomo. L’illusione ora è svanita in maniera brutale: stiamo vivendo la fine della fine della Storia. La Storia si è ripresentata in un Paese e in un continente che credevamo ormai invulnerabili. Questa Storia non è bella. Non è la realizzazione trionfale dello spirito descritto da Hegel. Non è il progresso dell’umanità verso la sua realizzazione finale. In poche parole, non è la Signora storia, ma la storia con l’S maiuscola, quella che in nome dei “crociati” e degli “empi” può annientarci in qualsiasi momento, in ogni luogo, quale che sia la nostra età, sesso, professione o appartenenza. Gli spettatori del Bataclan e i clienti de La Bonne Bière, de La Belle Équipe, del Carillon e del Petit Cambodge non indossavano l’uniforme. Non militavano per una causa. Bevevano un bicchiere, cenavano, ascoltavano un concerto: eppure sono stati uccisi. Vivremo pure in democrazia, ma il totalitarismo della Storia è ormai tra noi. La Storia ci priva del nostro diritto alla spensieratezza».
Il nostro nemico è il terrorismo?
«Con l’Unione europea abbiamo voluto instaurare il regno della pace perpetua. Il nostro sogno elvetico ora si è frantumato sulla realtà dell’islamismo. Dell’odio che prova per noi, questo nemico non ha mai fatto mistero. Eppure abbiamo trascurato di identificarlo».
Prima del 13 novembre, c’era molta tensione nel dibattito tra gli intellettuali francesi. È possibile ora un’unità?
«Sulla mia testa è stata messa una taglia per il crimine di aver menzionato il nemico e di aver fatto il processo al Sé (vale a dire, all’identità nazionale), invece di denunciare le umiliazioni inflitte all’Altro. Contro questo pensiero “nauseabondo”, L’Observateur ha riproposto l’appello dei nuovi intellettuali di sinistra prendendosela con “Finkielkraut, Zemmour e altri”. Alain Badiou ha spiegato perfettamente serio che non poteva partecipare alla mia trasmissione Replicas perché nel mio pensiero era “diventato centrale” il “concetto neonazista di Stato etnico”. Questa impudenza dimostra la ferocia dell’ideologia che oggi regna in Francia. Si preferisce abbattere il messaggero piuttosto che ascoltare un messaggio che obbliga a confrontarsi con la realtà ».
L’esercizio di osservare la realtà, non è un modo di resistere alla tentazione dell’integrazione?
«L’islamismo non è tutto l’islam. Tuttavia, esso non è neppure un fenomeno marginale o una creazione dell’Occidente. Noi non abbiamo generato questo mostro con le nostre politiche neocoloniali e la nostra discriminazione. Non stiamo pagando per i nostri crimini. L’obbligo della jihad, come spiega Bernard Lewis, poggia sull’universalità della rivelazione islamica. La jihad non è contraccolpo, bensì un progetto di conquista. L’Occidente deve liberarsi della convinzione megalomane di dettare sempre lui le danze».
Siamo pronti per questa lunga lotta?
«Lottare contro l’islamismo vuol dire trovare i mezzi per riconquistare i territori perduti in Francia ricostruendo, per esempio, la scuola repubblicana. Occorre anche controllare i flussi migratori, perché più arrivano immigrati dal mondo arabo- musulmano, più la comunità nazionale si frammenta e la propaganda radicale prende piede. Ma siamo in tempo?».
© Le Figaro / LENA, Leading European Newspaper Alliance Traduzione di Guiomar Parada