domenica 22 novembre 2015

La Stampa 22.11.15
Jean-Philippe Platteau: “Grande civiltà rovinata dalle élite corrotte”
“Se i musulmani sono anti-occidentali è pure colpa nostra”
Jean-Philippe Platteau: “Grande civiltà rovinata dalle élite corrotte”
intervista di Giordano Stabile


L’Islam non è condannato all’arretratezza e a una battaglia di retroguardia contro la modernità. Non più di altre grandi culture o civiltà, almeno. Ma se non viene aiutato dall’Occidente rischia di ritrovarsi ostaggio delle sue correnti più conservatrici. È la tesi di Jean-Philippe Platteau, professore emerito all’Università di Namur e uno dei massimi esperti mondiali dell’impatto delle istituzioni sociali e politiche sullo sviluppo, a Torino per la tredicesima Lezione Luca d’Agliano in economia dello sviluppo.
Professor Platteau, perché Occidente e Islam si scontrano molto di più che, per esempio, Occidente e induismo?
«Prima dobbiamo chiederci che cosa intendiamo per modernità. La globalizzazione, o occidentalizzazione, ha come cardini materialismo, individualismo, ateismo. Nel mondo islamico le masse sono ancora in gran parte analfabete, tradizionaliste e conservatrici. E questo favorisce le correnti reazionarie dell’islam che resistono alla mondializzazione. Ma in realtà si trovano le stessi correnti nell’induismo e nel buddismo, penso alla Birmania. Ci sono state grandi civiltà islamiche aperte e tolleranti. Ancora all’inizio del Novecento in Egitto c’era una legislazione modellata su quella di Francia, Svizzera, anche nel diritto civile».
E poi che cosa è andato storto?
«Ci sono ragioni interne ed esterne. La principale è forse la particolarità del clero. Nell’islam sunnita non esiste una gerarchia. Quindi chiunque può autoproclamarsi imam, predicare, avere la sua moschea. Se prendiamo l’Egitto, abbiamo un clero ufficiale, quello dell’università Al Ahzar per intenderci, vicino a un potere oppressivo e corrotto (quasi sempre amico dell’Occidente), un clero espressione delle famiglie più ricche e in vista, e corrotto a sua volta. È chiaro che questi religiosi hanno poca presa sulle masse. Ed ecco che i predicatori radicali invece hanno molto seguito e soffiano sul malcontento. E non c’è modo, nella tradizione islamica sunnita, di «scomunicarli». Lo stesso rapporto esiste anche fra la monarchia saudita e i suoi ulema. In fondo Osama bin Laden era un «dissidente» politico. La sua evoluzione a terrorista anti-occidentale nasce dallo scontro con il potere saudita».
E come nasce?
«Bisogna ripercorre la storia dei movimenti islamisti. Tutti i Paesi avevano come obiettivo l’abbattimento delle dittature, compresa quella degli Al Bashar in Siria. La decisione di Bin Laden di attaccare l’Occidente nasce invece dalla pretesa di Bush senior, dopo la prima guerra del Golfo, di impiantare basi Usa in Arabia Saudita. Il re pressato, acconsente. Gli ulema non si oppongono. Per Bin Laden è un affronto ai luoghi sacri e una violazione della sovranità nazionale. Da lì in poi la priorità diventa la lotta all’Occidente».
La percezione negativa dell’Occidente è però diffusa in tutto il mondo islamico. Che errori abbiamo fatto?
«La radice comune di tutti i movimenti islamisti è la resistenza al colonialismo. E questo vale per l’Algeria, l’Egitto, l’Iraq, un’invenzione degli inglesi che imposero un re straniero alla popolazione locale. E vale anche per il Caucaso russo. Ma c’è un’altra ragione fortissima. La questione palestinese. Che vale in tutto il mondo arabo e noi sottovalutiamo. Anche in Egitto viene vissuta come una ferita. La stessa pace con Israele è vista come una pace mutilata, perché presupponeva la risoluzione della questione palestinese. Che non è mai arrivata, per responsabilità soprattutto degli Usa. Ciò è visto come un tradimento, un’altra umiliazione. La vittimizzazione tipica del mondo islamico fa il resto. E il rigetto dell’Occidente è sempre più forte».