Il Sole 22.11.15
Oltre il confine. Gli interrogativi dell’Occidente
Come sta cambiando il senso della frontiera
di Armando Torno
Una parola si aggira per l’Occidente, a volte come un fantasma, altre volte trasformandosi in certezza. È il confine, o frontiera che dir si voglia. Dopo i tragici fatti di Parigi in molti ne chiedono il controllo ferreo, come un tempo. Anche se oggi affermare che essi continuano a garantire la loro funzione storica (sacra è da evitare, per pudore, dopo la prima guerra mondiale) diventa quasi impossibile. Ci accorgiamo che i confini cambiano significato a seconda di chi ne parla.
Le migrazioni, le necessità continue e costanti di scambi, viaggi, confronti stanno muovendo sempre più obiezioni ai valori che sembravano protetti da tale parola, ai vincoli che pone, alle garanzie che offre. Forse ci troviamo – o stiamo giungendo - nella condizione descritta da Henry David Thoreau in Una settimana sui fiumi Concord e Merrimack: “Le frontiere non sono a est o a ovest, a nord o a sud, ma dovunque un uomo fronteggia un fatto”.
Queste considerazioni nascono da riflessioni sul confine che si stanno moltiplicando in numerosi ambiti. Il terrorismo fa scoppiare anche i significati fin ora assunti dal termine, tanto che non manca qualcuno che crede alla necessità di un suo restauro semantico. E mentre si cercano di proteggere nuovamente i confini degli Stati, la cultura li ha smarriti. In questi giorni, per fare uno dei possibili esempi, a Roma, ai Mercati di Traiano, sono in corso degli incontri (sino al 26 novembre) su “Lo sguardo oltre il confine. Un viaggio tra le immagini”. È un invito ad andare oltre i significati culturali offerti da arte e architettura; o meglio, si pone in evidenza la necessità di varcare i confini a cui sovente ci siamo aggrappati grazie a figure e geometrie compiacenti.
Inoltre sul secondo numero di Scenari, un quadrimestrale di approfondimenti culturali pubblicato dall’editrice Mimesis, ove sono raccolte molteplici voci di pensiero, un saggio di Edoardo Greblo dal significativo titolo Confini in movimento, pone il problema politico. Tra l’altro in esso si legge: “Il mondo globalizzato tende a mettere radicalmente in discussione i presupposti spaziali che hanno dominato la politica moderna e che hanno alimentato un regime geopolitico volto a delimitare le singole sovranità le une dalle altre e a distinguerle grazie a confini rigidi e stabili”. Per tale motivo “l’ideale dell’autosufficienza territoriale è infatti in evidente contraddizione con la crescente interdipendenza dei popoli del pianeta e con le migrazioni transnazionali, con i flussi materiali di persone in fuga da paesi flagellati…”. Anche se gli Stati mostrano “scarsi segni di cedimento”, e torna la tendenza a erigere muri protettivi, l’idea stessa di confine ha subìto una sorta di trauma. La nazione cara al Risorgimento sognata da Alessandro Manzoni in Marzo 1821, “Una d'arme, di lingua, d’altare,/ Di memorie, di sangue e di cor”, non c’è più, ammesso che sia mai esistita. Vittorio Sereni ha lasciato nell’omonima raccolta un’idea esistenziale di Frontiera. È tutto quello che ci resta.
L’ambito geopolitico non è che un esempio. I confini, per dirla in breve, ci proteggono da taluni problemi dandocene in cambio altri; non sono un impedimento ai terrorismi di oggi, che ormai nascono in casa utilizzando idee che non rispettano le frontiere. La scienza moderna, da parte sua, ha violato quei limiti in cui taluni dogmatici desideravano dovesse muoversi, compresi i confini di vita e morte; il pudore, che per Giovannino Guareschi ci distingueva dalla specie animale, non ha più le dogane giuridiche che diedero vita a non pochi processi nell’Italia del miracolo economico. Chi potrebbe ancora parlare di “comune senso del pudore”? Soltanto uno storico. Per questi e per innumerevoli altri motivi anche i “confini sacri” di una nazione (evitiamo “patria” per le difficoltà che oggi sta attraversando questo antico concetto) non li sentiamo più come tali. Quanti in Italia sarebbero pronti ad andare in guerra per difenderli? Meglio non rischiare di conoscerne la percentuale. È più facile trovare volontari per altre missioni.
Forse vale la pena ricordare che il confine ha più un valore fiscale e psicologico che non patriottico, così come taluni principi difesi dai sindacati assomigliano a quei valori che i moralisti del buon tempo antico ritenevano indiscutibili. Difendono anch’esso dei confini. Con un tocco di spirito romantico. E lo fanno in un momento in cui le frontiere sono diventate la realtà più flessibile (e discussa) del Vecchio Continente.