La Stampa 22.11.15
#notinmyname, l’Islam in piazza
per condannare i terroristi dell’Isis
Meno di mille a Roma, 400 a Milano. Mattarella: “Gli assassini non ci piegheranno”
di Ilario Lombardo, Stefano Rizzato
Mohamed Muvar e i suoi due amici sono tra i primi ad arrivare sventolando il tricolore italiano. Fermi sotto un cornicione, perché dal cielo la pioggia non risparmia il largo budello di Piazza Santi Apostoli a Roma, sorridono spaesati ai flash. Sono arrivati quattro mesi fa a Terni da Islamabad, la capitale del Pakistan, che vuol dire città dell’Islam, la religione della quale sembra quasi debbano giustificarsi. Il loro italiano è stentato, ma hanno imparato un’unica frase: «Quello di Parigi non è Islam».
A volte le parole, se diventano slogan, rischiano di trasformarsi in retorica. Ma succede anche che all’improvviso in una piazza semi-vuota, con un piccolo palco al centro con su scritto #Not in my name, arrivino trenta persone gridando «No Isis», «No al terrorismo», e allora capisci davvero cosa vuol dire quell’hashtag: non sappiamo se per tutti i musulmani d’Italia, ma certamente per chi è qui. Gli imam, le famiglie, i giovani: soprattutto le tante ragazze che con il velo fanno splendere i loro volti in questo pezzo di Roma che fatica a riempirsi circondato dal traffico e dalla quotidianità che va avanti.
Non c’è tanta gente. Meno di mille. Tanti giornalisti, tanti non musulmani. Il brutto tempo certo, ma anche i pochi giorni per l’organizzazione, i timori, forse, di una comunità che si è sentita di nuovo colpevolizzata. Anche a Milano: al massimo 400 persone e un palco improvvisato in piazza San Babila. Le due città sembrano comunicare tra loro in una grande piazza virtuale dove si alternano i messaggi delle centinaia di associazioni islamiche che hanno aderito. «Chi uccide in nome di Dio travisa il messaggio di qualunque religione», esordisce Davide Piccardo, coordinatore del Caim che chiede «moschee come luoghi visibili per educare alla non violenza». Quando il generatore che alimenta i due altoparlanti salta si continua con un megafono, fino alle 17. A Roma invece le casse rilanciano forte la condanna di Izzedin Elzir, presidente dell’Ucoii: «Non esiste una guerra santa. Solo la pace è santa». Izzedin è un uomo minuto, pacato, sotto l’acqua incessante svela gli occhi di chi sta portando su di sé una colpa non sua. Da giorni gli chiedono di prendere le distanze da quello che è successo a Parigi a nome di tutti gli islamici d’Italia, di spiegare perché nell’Islam non c’è il seme di quella violenza senza Dio. «Siamo qui per tranquillizzare i nostri concittadini e i fedeli, siamo italiani e musulmani». Il dubbio sul senso di questa manifestazione è ben espresso in romanesco da Amina Salina, convertita 23 anni fa: «Quando c’è stato Breivik che ha fatto tutti quei morti nessuno ha chiesto ai cristiani “fatece vedè che non siete come loro”». Ma anche lei, alla fine, è voluta esserci. Perché, spiega Omar Camiletti, della Grande Moschea di Roma «in questa società dello spettacolo, rispondiamo a orribili atti simbolici con un altro gesto simbolico: i musulmani sono parte dell’Europa e non possono essere considerati nemici».
Sul palco e sotto ci sono politici, i Radicali italiani, esponenti di Sinistra italiana, Khalid Chaouki, del Pd, da ieri sotto scorta per minacce. Tra le bandiere egiziane, somale e della pace, gli imam abbracciano i membri della comunità induista, buddista, ebraica, i cattolici di Sant’Egidio. Vengono letti i messaggi delle massime autorità italiane. Dei presidenti di Camera e Senato, e del Capo dello Stato: «Gli assassini ci vogliono far rinunciare al nostro umanesimo – dice Sergio Mattarella - Non ci piegheranno». Yara ed Eya, sorelle, ascoltano. Hanno 17 anni, da uno indossano il velo: «Sì qualcuno ci ha guardato male dopo i fatti di Parigi, ma noi lo portiamo con orgoglio. E’ la nostra corona».