sabato 21 novembre 2015

La Stampa 21.11.15
Questo terrorismo è un’idra a più teste
di Stefano Stefanini


Occidente e Russia contro lo Stato Islamico? Magari fosse così semplice. A malapena una settimana dopo la strage del Bataclan, il terrorismo ha sferrato l’attacco a Bamako. Si sono rivisti i Kalashnikov branditi contro ostaggi, europei, africani, cinesi, indiani, e il modus operandi paramilitare di Mumbai, Garissa, Nairobi. Non è stata strage indiscriminata: magra consolazione.
Nell’azione dell’Hotel Radisson Blu si legge una rappresaglia contro la Francia. I militanti del Mali, sconfitti dall’intervento francese del 2013, sono più una filiazione di Al Qaeda che non di Isis. In Libia le rispettive filiali si combattono fra loro. L’attacco di ieri è sintomo di una convergenza (se non coordinamento) jihadista che abbraccia più teatri, geografici e psicologici; mostra anche che non ci si può focalizzare soltanto sul pericolo più immediato e diretto - identificato nello Stato Islamico - e politicamente, nel vuoto lasciato dalla crisi siriana.
Tatticamente è giusto. Eliminare il Califfato è il primo passo per tagliare ossigeno al terrorismo, come avvenne con la cacciata di Al Qaeda dall’Afghanistan. Il jihadismo militante è però un’idra a più teste. Decapitarne una spunta la minaccia, ma non la rimuove. Le altre teste continuano a mordere. Il fatto che siano «in Africa» o «in Arabia» induce un falso senso di sicurezza. Lasciare il peso della risposta solo a Parigi, Washington e Mosca, equivale a cacciare la testa sotto la sabbia.
Nel 2014, Boko Haram si è tristemente guadagnato l’Oscar del terrorismo, con oltre 6500 vittime. Più le 276 bambine - bambine - rapite a Chibok. Non se ne parla più. La Nigeria è andata alle urne, eleggendo il candidato dell’opposizione: merita rispetto. Abbandonare l’Afghanistan riaprirebbe le porte di Kabul al regime che ospitava Bin Laden.
Se non sono più arrivati attacchi in Occidente, un po’ di gratitudine andrebbe forse alla Nato e al sacrificio dei nostri, e tanti altri, soldati. Se ne parla poco.
Si parla di Libia. Si dimentica la Somalia. Scivolata nel caos da un quarto di secolo, ignorata a lungo, è stata riscoperta quando la pirateria ha richiesto robuste operazioni navali Nato, Ue e di altri nell’Oceano Indiano. Shabab tiene le forze dell’Unità Africana asserragliate a Mogadiscio ed estende i tentacoli in Kenya. Il Corno d’Africa sembra lontano, salvo accorgerci che sui gommoni verso la Sicilia ci sono anche somali in fuga dalla loro terra.
Isis in Siria non deve far dimenticare che la minaccia si combatte su più fronti. Gli Stati sotto attacco vanno sostenuti. Dove crolla lo Stato penetra il terrorismo. Che poi arriva dappertutto.