sabato 21 novembre 2015

Repubblica 21.11.15
Atiq Rahimi.
L’autore afgano è stato vincitore del premio Goncourt “Una crisi come questa cambia tutto Ma non è una guerra di religione”
“Ora i migranti pagheranno per colpe che non hanno commesso”
intervista di Francesca Caferri


Nel 2008 quando vinse il premio Goncourt con il romanzo Pietra di pazienza (uscito in Italia da Einaudi), Atiq Rahimi sembrò incarnare una nuova idea di Francia: quella in grado di aprire il suo premio letterario più prestigioso a uno scrittore che non ha il francese come lingua madre, che viene da una cultura musulmana e da un Paese, l’Afghanistan, noto alle cronache più per i suoi lunghi conflitti che per la sua produzione culturale. Da allora, tutti i lavori di Rahimi – che nel frattempo è diventato anche un pluripremiato regista – sono stati volti a gettare un ponte fra i due mondi in cui la sua vita si è sviluppata. Mondi che oggi, dopo gli attacchi di Parigi, la città dove Rahimi vive, sembrano più distanti che mai.
Signor Rahimi, cosa ha pensato quando ha sentito degli attacchi? In molti, già dalle prime ore, hanno iniziato a parlare di un “noi contro loro”, Francia contro Islam. Questo l’ha impressionata?
«All’inizio ero sconvolto, come tutti. Lo sono ancora. Ma fatico anche solo a pensare a una contrapposizione simile. Io oggi sono un francese, i miei figli sono francesi, i Bleu sono la nostra nazionale di calcio. La ferita che è stata inferta non è stata solo contro la Francia, ma contro l’umanesimo, contro la civiltà, contro le speranze e i sogni di tante singole persone. Che sia accaduto a Parigi o a Kabul per me non fa differenza, mi sarei sentito in ogni modo ferito come essere umano. La contrapposizione che lei ha menzionato per me non esiste».
Però lei sa che questo avrà conseguenze su chi, come lei ai suoi tempi, lascia certi paesi per sfuggire alla guerra o alle dittature e viene in Europa in cerca di un futuro diverso…
«Io so che in nessun attacco terroristico, che sia avvenuto in Libano, in Francia o in Nigeria, sono coinvolti afgani. Gli afgani non sono terroristi e questo la gente lo sa. Per quanto riguarda chi arriva da altri paesi, è chiaro che la situazione oggi è molto diversa rispetto a quando sono arrivato io. Tutti qui in Francia sono spaventati da questa ondata di migranti ed è comprensibile: il paradosso oggi è che sempre più persone si fingono afgane per ricevere i benefici legati al fatto di venire da un Paese in guerra, ma fatto da gente pacifica».
Se allarghiamo il discorso ai musulmani che stanno arrivando in Europa il quadro cambia?
«Allora devo dire che il problema c’è. È vero, è legato ai musulmani. Ma non a loro in quanto persone, piuttosto alla guerra geopolitica da cui stanno fuggendo: una guerra fra sunniti e sciiti, fra sauditi e iraniani, che sta presentando il conto alla gente comune. I nemici dell’Europa oggi, i terroristi, sono quelli che all’inizio la stessa Europa e i suoi alleati del Golfo hanno appoggiato in chiave anti-Bashar al Assad. Come già accadde in Afghanistan. Ci tengo a sottolineare che la questione è geopolitica, non religiosa: il conflitto vero non è fra ebrei, musulmani o cristiani. È fra paesi contrapposti».
Che aria respira oggi a Parigi?
«Ho tanti amici che come me hanno origini diverse da quelle puramente francesi: tutti come me oggi si sentono, anzi sono, francesi. Ma sappiamo che nulla da ora in avanti sarà più semplice come era prima».
Il successo di Houllebecq e di chi si riconosce nelle sue idee la spaventa?
«È il prezzo della democrazia. In democrazia tutti sono responsabili degli errori commessi, i politici per primi. Ha pagato Sarkozy, sta pagando Hollande: è chiaro che di fronte a questo cresce Marine Le Pen. La gente cerca di prendere le distanze dalle situazioni di crisi chiudendosi in se stessa, cercando i colpevoli nel mondo politico e cercando nuovi protagonisti. Hitler è arrivato al potere così, ma pensate anche alla classe politica che stanno esprimendo i paesi dell’ex blocco socialista, su cui negli anni Novanta erano state riposte tante speranze. In Europa ora i migranti sono diventati quelli da colpevolizzare: Le Pen senza dubbio raccoglierà i frutti di questo».
Il suo premio Goncourt sembrò aprire un’epoca nuova nella cultura francese: i premi successivi hanno confermato questa tendenza a riconoscere la ricchezza delle tante culture che sono confluite in quella francese negli ultimi decenni. Crede che anche la cultura finirà con il pagare il prezzo della mentalità di chiusura che sta avanzando?
«Le posso solo dire che sono preoccupato, perché il cambiamento di mentalità fra tanti francesi lo vedo tutti i giorni davanti ai miei occhi. Le crisi cambiano la visione, la mentalità, la filosofia di un Paese. Questa è una lezione che la Storia ci ha insegnato molto bene. Non sarei sorpreso se ciò accadesse anche qui adesso”.