sabato 14 novembre 2015

La Stampa 14.11.15
La prima grazia di Mattarella
Il presidente della Repubblica ha concesso la grazia parziale, 2 anni, ad Antonio Monella, l’imprenditore in carcere dall’8 settembre 2014 perché condannato a 6 anni per l’omicidio del ladro che gli stava rubando il suv in giardino
Il Quirinale non sposa l’autodifesa illimitata
di Ugo Magri


Il caso molto controverso di Antonio Monella, l’imprenditore di Arzago D’Adda da oltre un anno in carcere per avere sparato a un giovane ladro albanese, uccidendolo, su cui la Lega aveva montato una campagna di protesta in nome della libertà di difendersi, ha trovato ieri una soluzione con il provvedimento di grazia firmato dal Capo dello Stato. Monella potrà presto tornare a casa. Ma non si tratta di un via libera alla giustizia fai da te, una legittimazione di ronde, sceriffi e cittadini che impugnano le armi: prendere a fucilate dal balcone di casa i malviventi che tentavano di rubargli il suv, come fece l’imprenditore nel 2006, rimane un reato gravissimo, punito come tale. Contrariamente a quanto sostengono, stranamente concordi, una certa destra e una certa sinistra, l’atto di clemenza presidenziale non lo giustifica minimamente. Prova ne sia che Mattarella ha condonato solo due dei rimanenti cinque anni da scontare dietro le sbarre, quanto basta perché il Tribunale di sorveglianza sia messo nella condizione di applicare (sempre che lo ritenga opportuno) l’istituto dell’affidamento in prova ai servizi sociali.
Se il presidente avesse considerato Monella nel giusto, o addirittura un eroe del nostro tempo come ama presentarlo Salvini, glieli avrebbe scontati tutti e cinque.
Ma non è andata così. Fonti vicine al Colle segnalano che la grazia, come si è detto parziale, Mattarella l’ha concessa alla luce di circostanze che la legge nella sua astrattezza non può sempre prevedere in anticipo. All’epoca dei fatti Monella era una brava persona incensurata, si era immediatamente pentito del suo gesto, aveva risarcito i familiari del diciannovenne Ervis Hoxa, durante il processo non aveva mai tentato la fuga o altro, confidando sempre nella giustizia. Inoltre ha già scontato in carcere una parte della pena e, durante la detenzione, ha mantenuto un comportamento irreprensibile. In tal senso si è espresso con apposita relazione il giudice di sorveglianza, interpellato dal ministero della giustizia che ha svolto l’istruttoria richiesta dalla legge. Il Presidente ha firmato il provvedimento di grazia solo dopo che ieri mattina il ministro Orlando aveva dato il suo via libera.
Insomma: Monella potrà tornare libero solo ed esclusivamente in ragione della sua condotta esemplare, non per effetto delle minacce di Salvini («Per liberarlo occuperemo le prefetture») che anzi, secondo chi frequenta il Colle, nelle scorse settimane aveva rischiato addirittura di diventare controproducente per Monella, in quanto la troppa insistenza poteva creare l’impressione sbagliata che la grazia venisse concessa dal Quirinale per quieto vivere, o addirittura come forma di cedimento alle pressioni «padane».
La formula di clemenza adottata da Mattarella è tale che non giustifica affatto l’esultanza (abbastanza sguaiata) della Lega. Per certi versi, anzi, ne sgonfia la propaganda perché va incontro a certi stati d’animo presenti soprattutto al Nord, dove la paura per la delinquenza è tanta, però al tempo stesso taglia la strada alle proposte di legge che mirano ad allargare le maglie della legittima difesa. Accoglie quanto è di buon senso, respinge tutto il resto in nome di un calcolo politico che, se esistesse, sarebbe sottile e raffinato. Ma di cui sul Colle negano l’esistenza, pure con toni piuttosto netti. Si assicura da quelle parti che Mattarella ha ragionato da giurista quale egli è, mettendo nel conto le polemiche poi puntualmente esplose, però nella più totale osservanza della legge e appellandosi al foro interiore della propria coscienza. Di qui il primo atto «sovrano» del suo settennato.