mercoledì 11 novembre 2015

La Stampa 11.11.15
Renzo Piano: “Fare l’architetto è raccontare una storia”
Celebrato con una grande mostra a Parigi, dove si fece conoscere con il progetto del Centre Pompidou. Mezzo secolo di lavoro all’insegna della leggerezza
di Leonardo Martinelli


C’era una volta un architetto genovese di 34 anni. Che a sorpresa, con un amico e collega inglese, Richard Rogers, poco più vecchio di lui, vinse un concorso internazionale per il Centre Pompidou, a Parigi. «Che avventura - ricorda Renzo Piano -. Non ce l’aspettavamo proprio. Per me fu come uscire dal particolare, dove avevo vissuto fino a quel momento dal punto di vista professionale. Finalmente un grande edificio pubblico. E un’istituzione culturale: aperta a tutti».
Era il 1971. Dopo tutti questi anni Parigi si ricorda di lui, eccome. Oggi si inaugura alla Cité de l’Architecture & du Patrimoine, a due passi dalla Torre Eiffel, la mostra La méthode Piano, aperta fino al 29 febbraio. «Il suo immaginario si fonda sulla leggerezza delle cose: gli viene dal mare che ha sempre scrutato a Genova - osserva Francis Rambert, curatore dell’esposizione e amico dell’archistar -. La sua è una corsa per sfuggire alla legge di gravità».
In cerca della bellezza
Piano, 78 anni e cinquanta di lavoro alle spalle, osserva divertito plastici, schizzi e prototipi, distribuiti su una serie di tavole o sospesi (leggeri pure loro) in aria. «È difficile definire il mio lavoro - aggiunge -: diciamo che fare l’architetto è raccontare una storia, ricercare disperatamente la bellezza». Per Rambert «il metodo Piano significa anche un lavoro di squadra ed essere sempre pronto al dialogo: non tracciare lo schizzo di un artista per imporlo a tutti».
Cominciando dalla «preistoria»: Piano la definisce così, con un pizzico d’ironia. Fin dagli inizi lui, discendente di una famiglia di piccoli costruttori, ha adorato la sperimentazione sui materiali. «Ingenuamente consideravo l’architettura l’arte del costruire. In seguito ho capito che era anche altro: si costruisce per la gente». Alcune foto in bianco e nero e modellini della seconda metà degli Anni Sessanta rimandano a moderniste strutture dagli elementi piramidali, tutto poliestere, da utilizzare in un’edilizia decisamente pop. Di lì a poco, non stupisce, arriverà il Beaubourg.
Nella mostra sono stati selezionati alcuni progetti, «ma non l’ho fatto io - ci tiene a precisare Piano -, li ha scelti Francis ». Ad esempio, come costruire nel cortile di un palazzo haussmanniano, nel cuore di Parigi? Così è nato quell’edificio a forma di lumaca, che ospita la Fondazione Jérôme Sedoux-Pathé. È una strana «creatura organica» di legno e vetro, sviluppata per non disturbare gli abitanti del palazzo che la circonda, per non togliere loro luce. Anche tecnologicamente è un’opera ambiziosa. «Io alle nove di mattina mi sento architetto - osserva Piano -, alle dieci ingegnere. E a mezzogiorno anche artista, almeno un poco».
Dinanzi a Le Corbusier
A più riprese Piano ha accettato di intervenire in prossimità di capolavori dell’architettura: un terreno minato. Come quando gli fu chiesto di costruire un monastero per le clarisse e un centro per i visitatori vicino alla cappella Notre-Dame du Haut, a Ronchamp, in Francia, opera degli Anni 50 di Le Corbusier. Per questo progetto (concluso nel 2011) venne preso di mira, ma lui accettò di dialogare con i detrattori. Il suo intervento si colloca su un fianco della collina, non visibile dalla chiesa, con cui dialoga da un punto di vista spirituale.
«Non è facile mantenersi “leggeri” mettendo mano a un edificio di 310 metri di altezza - sottolinea Rambert -. Piano e i suoi collaboratori ci sono riusciti». Hanno terminato The Shard (la scheggia) a Londra nel 2012: un insieme di uffici, negozi e appartamenti, il concetto di città verticale. The Shard si affina nella parte alta, quasi volesse farsi dimenticare nel cielo londinese.
La prima volta in Africa
Una première per Piano edificare sotto al Sahara. «Eppure ci tengo tanto a questo progetto», osserva. Si tratta di un centro di chirurgia pediatrica voluto da Gino Strada, di Emergency, a Entebbe, la capitale dell’Uganda. Iniziato nel 2013, viene realizzato con terra cruda, sfruttando tecnologie costruttive locali. «Questo progetto e gli altri esposti - conclude l’architetto - hanno un elemento in comune: sono luoghi pubblici, accessibili alla gente, a tutti». Nel rispetto delle abitudini. Nel rispetto altrui.