martedì 10 novembre 2015

La Stampa 10.11.15
Londra-Barcellona, indipendenze vere e presunte
di Stefano Stefanini


La Catalogna avvia l’uscita dalla Spagna; il Regno Unito si prepara al referendum sull’uscita dall’Unione Europea. Per i britannici sarebbe il riacquisto di sovranità ceduta. I catalani invece uscirebbero dalla Spagna per poi entrare subito nell’Ue come Repubblica indipendente. Londra si staccherebbe da Bruxelles; Barcellona si avvicinerebbe. Per entrambi l’uscita sarebbe una riappropriazione d’indipendenza.
Poco importano le direzioni apparentemente opposte; poco importa che le spinte centrifughe, queste ed altre, continuino ad avvalersi del contesto Ue.
I catalani uscirebbero con la convinzione di rientrarvi rapidamente; i britannici con quella di conservarne molti vantaggi, come il mercato unico. Gli uni e gli altri fanno i conti senza l’oste: l’illusione che l’Ue sia sempre disponibile a perseguire un rapporto, nei limiti di quanto conviene al Regno Unito e a richiesta per la Catalogna, è abilmente alimentata dai fautori delle rispettive uscite. Quel rapporto che, il giorno dopo, non si instaurerebbe certo nel clima di faciloneria con cui lo descrivono Ukip e gli indipendentisti catalani.
Per catalani e britannici l’uscita rifletterebbe un’analoga affermazione d’identità culturale e di radici storiche che sentono minacciate, gli uni dallo Stato spagnolo, gli altri dall’uniformità regolamentare di Bruxelles, esercitata quest’ultima in un rapporto con i cittadini troppo filtrato (il lamentato «deficit di democrazia»). Questo riflesso difensivo è soprattutto effetto della globalizzazione e di eventi su scala planetaria, come migrazioni di massa e cambiamenti climatici, che hanno poco o nulla che vedere con l’Unione o con lo Stato nazionale. La reazione, simile, è cercare sicurezza dove ci sente a casa, quindi nella nazione rispetto all’Unione, nella regione rispetto allo Stato.
Per la Spagna, dopo il voto del Parlamento di Barcellona, la parola passa alla Corte Costituzionale alla quale Mariano Rajoy ha subito annunciato ricorso. Oltre la Manica deciderà il referendum, forse già l’anno prossimo. David Cameron sta facendo pre-tattica anche con la data: che sia nel 2016 o nel 2017, il momento della verità di Brexit si avvicina. Così quello dell’indipendenza catalana.
La partita sarà decisa da spagnoli e catalani, e da britannici. Le conseguenze ricadranno su tutta l’Europa. Avere o meno Londra nell’Unione fa differenza economica, strategica, politica e di cultura comunitaria. Senza Regno Unito, ormai «vecchio» membro (da 43 anni), Bruxelles non sarebbe più la stessa. L’indipendenza della Catalogna avrebbe un effetto domino su altre secessioni in lista d’attesa, come Paesi Baschi e Scozia. Accrescerebbe i risorgenti nervosismi in Irlanda del Nord. Alimenterebbe l’incomunicabilità fra fiamminghi e valloni in Belgio. Risveglierebbe persino la dormiente identità padana, che oggi la Lega Nord ha messo in naftalina. L’Europa è un mosaico e gli esempi sono contagiosi.
Inutile illudersi che l’Unione Europea possa supplire sulla scena mondiale all’intrinseca debolezza degli Stati e mini-Stati che la compongano. Non solo se avrà perso pezzi importanti come il Regno Unito. Soprattutto perché un’Ue con un ancor maggior numero di membri, piccoli e medi (come appunto Catalogna e Scozia – forse Galles in caso di Brexit – più i candidati balcanici in attesa) sarebbe ancor meno funzionale di quanto non sia adesso, per numero (rimarrebbe un Commissario a paese?) e per sproporzione rispetto a chi rimarrebbe «grande», a cominciare dalla Germania.
L’Ue non può decidere le sorti di Brexit e di Catalogna. Può tuttavia aiutare. I sentimenti pro-uscite sono stimolati anche dall’immagine di un’Unione che si dibatte fra le crisi senza risolverle. Si torna adesso a parlare di debito greco. Il nodo principale resta però l’immigrazione. Non ci si possono aspettare miracoli dal Consiglio europeo della Valletta sui rifugiati. Ma almeno un senso di direzione che dia ai cittadini e ai governi la sensazione che Bruxelles lo sta veramente prendendo in carico il problema, senza perdere Schengen e la libera circolazione.
Le molle psicologiche che fanno ergere muri e barriere per arginare il flusso dei rifugiati, in realtà scaricandoli sul vicino, non sono molto diverse da quelle che ispirano desideri di divorzi e di uscite – dimenticando che il continente è piccolo e unico.