Il Sole Domenica 29.11.15
Neuropsicologia
Le stigmate nel cervello
di Arnaldo Benini
Il “colpo” di cui si parla in questo libro non è fisico, ma mentale. La mente è il prodotto dei meccanismi nervosi del cervello. I “colpi” che la mente riceve e le stigmate che rimangono per sempre sono lesioni del cervello, secondo la regola della natura che diventa evento della coscienza solo ciò che modifica struttura e funzionamento della corteccia cerebrale. La psicologia, per la plasticità della corteccia cerebrale, è biologia, cioè neuroscienza. Le neuroscienze, dice Kolk, offrono la migliore spiegazione di come il trauma mentale modifichi lo sviluppo del cervello, i meccanismi della coscienza di sé, l’autocontrollo, la capacità di concentrarsi e l’empatia per la vita degli altri. Una delle conseguenze della riduzione della malattia mentale a lesione cerebrale è stata, dice Kolk, la “rivoluzione farmacologica”, cioè l’introduzione nella pratica psichiatrica della farmacoterapia, alla quale l’autore partecipò come giovane psichiatra. Molte delle cosidette malattie mentali sono curabili oltre la terapia della parola, anche se la lesione cerebrale è irreversibile. La farmacoterapia psichiatrica, ora ampiamente usata, «aiuta le persone - dice Kolk - a stare nel presente invece di sentirsi bloccate nel passato». Molti pazienti, nella psicoterapia della parola, mostrano difficoltà a percepire nel profondo ciò che avevano vissuto e a comunicarlo. La concezione riduzionistica della mente e delle lesioni che subisce conferisce linearità concettuale e chiarezza al magistrale studio di Kolk sulle condizioni in cui viene a trovarsi chi ha subìto o praticato violenze.
L’autore, psichiatra d’origine olandese, ha una vastissima esperienza nella clinica, nella ricerca e nella cura dello stress traumatico. Ha fondato e dirige il Trauma Center di Brookline, nel Massachusetts. All’inizio dell’attività si occupò prevalentemente di bambine e di donne che avevano subìto oltraggi d’ogni genere, fino a stupri di gruppo, spesso da parte di familiari, e di giovani cresciuti in famiglie con violenze fisiche fra i genitori, che li bastonavano o si picchiavano, di regola in preda all’alcol. La separazione dei genitori, pur se consensuale, è, per molti bambini, dice Kolk, un colpo con conseguenze durature.
Ha curato poi reduci della guerra nel Vietnam: i più sofferenti non avevano subìto torture, ma le avevano praticate su vecchi, donne e bambini di famiglie vietnamite, massacrate senza pietà e senza motivo, in preda ad un furore di cui non sapevano darsi ragione e che non dava loro pace. Si è occupato anche di testimoni dello schianto di aerei contro il World Trade Center di New York nel 2001. Kolk è stato uno dei pionieri della preziosa, e dettagliatamente descritta, visualizzazione del cervello (neuro-imaging) nello studio delle alterazioni mentali post-traumatiche. Esse hanno dato un contributo all’identificazione delle aree cerebrali coinvolte nel senso di sé, in particolare della corteccia cingolata, parte del sistema limbico delle emozioni. Fu tra i primi a segnalare che nel cervello di persone che ricordavano e rivivevano il colpo che aveva cambiato la loro vita era attivo prevalentemente l’emisfero destro, che studi successivi hanno confermato essere, più del sinistro, sede dei meccanismi della vita emotiva.
La neurofisiologia delle emozioni violente e delle loro conseguenze, anche fisiche, come dolori diffusi, affaticamento e malattie autoimmuni, è spiegato con talento divulgativo. Il capitolo sulle alterazioni mentali traumatiche in bambini cresciuti in povertà e vittime e testimoni di violenze inaudite, è particolarmente ben riuscito. Singolare l’esperienza di curare giovani e meno giovani, spesso quasi analfabeti, inclini ad ogni violenza e sopraffazione, insegnando loro, con santa pazienza, a recitare brani di tragedie di Shakespeare. I risultati furono sorprendenti. Dare parole alle emozioni aiuta chi fino ad allora viveva di istinti a capire che ne hanno molte e diverse e che di loro e del loro controllo è fatta la vita. Ciò è una conferma della forza della plasticità cerebrale, se ben sollecitata. Il libro è un’esplorazione dei meandri più tetri e orribili della crudeltà, dai quali l’umanità non riesce ad affrancarsi. Gli abissi di follia cui può giungere la condizione umana pongono l’eterno problema del perché il pensiero riesca, entro certi limiti, a limitare, ma non ad estirpare il male, nemmeno quello atroce del piacere alla sofferenza degli altri, di cui solo l’umanità è capace.
Le neuroscienze danno una spiegazione plausibile e poco incoraggiante: nell’evoluzione l’uomo, pur fisicamente debole, si è imposto perché sa fare il male meglio degli altri esseri viventi. Le fonti del male non sono misteriose, perché sono dentro di noi, nei meccanismi nervosi del cervello che hanno consentito all’umanità di prevalere nella lotta per la vita. Le neuroscienze ci indicano i centri nervosi del male, ma non i modi per estirparli, come se la loro scomparsa fosse incompatibile con la vita. «La nostra sola speranza non è di eliminare il male definitivamente - scrive il filosofo Tzvetan Todorov - ma di tentare di comprenderlo, contenerlo e dominarlo». Lo studio di Kolk è un contributo notevole per competenza e concretezza.
Bessel van Der Kolk, Il corpo accusa il colpo , Raffaello Cortina, Milano,
pagg. 514, € 33,00