domenica 29 novembre 2015

Corriere La Lettura 29.11.15
Tommaso pensatore freelance
La rivincita laica di un santo
Dopo la morte l’opera dell’Aquinate venne condannata dalla Chiesa ma ben presto divenne una sorta di dottrina ufficiale fino al Concilio VaticanoII
La fine di quel monopolio gli ha giovato: oggi è visto come un baluardo della fiducia della ragione
di Giovanni Ventimiglia


Parigi nell’anno del Signore 1274: «Ci è giunta una notizia che ci lascia attoniti e addolorati, sconcerta le nostre menti, ci colpisce nel più intimo del nostro animo e quasi ci spezza il cuore… Più volte abbiamo implorato che quest’uomo ci fosse restituito, ma implorato purtroppo invano... (Ora, all’indomani della sua morte, chiediamo) di custodire le ossa di colui che da giovane era stato allevato, educato e istruito qui a Parigi, che poi da lui aveva ricevuto in cambio l’indicibile beneficio del suo insegnamento».
Sono queste le parole con cui i maestri della facoltà delle arti dell’Università di Parigi, di fatto i «professori di filosofia» dell’epoca, imploravano di poter piangere almeno il corpo di quel teologo italiano che avevano stimato più di tutti: Tommaso d’Aquino (1225 o 1226-1274).
Completamente opposto era invece l’atteggiamento della Chiesa nei suoi confronti, almeno a quei tempi. Sempre a Parigi, infatti, le sue dottrine furono condannate dalle autorità ecclesiastiche pochi anni dopo la sua morte, nel 1277, e lo stesso accadde a Oxford in più di un’occasione (1277, 1284, 1286). Non è a tutti nota, in proposito, la sofferenza ingiustamente patita dal tomista Richard Knapwell, il quale, essendosi rifiutato di partecipare all’assemblea convocata a Londra per condannare le tesi di Tommaso d’Aquino, fu addirittura scomunicato, poi condannato al silenzio perpetuo. E finì i suoi giorni pazzo a Bologna.
Eppure, da lì a qualche anno, la stessa Chiesa che aveva inflitto così dure condanne a Tommaso e ai suoi seguaci avrebbe proclamato l’Aquinate «santo», precisamente nel 1323. Da quel momento in poi il tomismo sarebbe diventato tutt’uno con la dottrina ufficiale della Chiesa, fino al punto di essere imposto a tutta la cristianità a suon di encicliche ( Aeterni Patris , 1879), decisioni motu proprio e norme (1914). Così, stavolta, a essere perseguitati furono tutti coloro, soprattutto gesuiti seguaci del filosofo Francisco Suárez (1548-1617), che non si conformavano pedissequamente al tomismo (nella versione che ne davano i domenicani). Descrive bene questo stato di cose il teologo (e futuro cardinale) Henri-Marie de Lubac alla vigilia del Concilio Vaticano II: «Una sorta di dittatura chiamata “tomistica” si sforzava di soffocare ogni tentativo di pensiero più libero (...), si insospettiva di tutto ciò che si affacciava all’esistenza al di fuori di essa. Così ricominciavano a piovere denunce (...). Durante quel periodo molti uomini in carriera facevano di questo “tomismo” (...) una sorta di indurimento dello spirito, una specie di attitudine negativa alla condanna universale».
Fu proprio il Vaticano II a mettere la parola fine a questa insostenibile situazione e a decretare di fatto il divorzio fra la teologia cattolica e il pensiero di Tommaso. Fu un bene o un male?
Molti vetero-tomisti cattolici conservatori se ne lamentarono (e ancora se ne lamentano). Eppure, solo così, paradossalmente, il teologo di Aquino (oggi in provincia di Frosinone), liberatosi dall’abbraccio in un certo senso «mortale» della Chiesa, poté tornare a parlare ai filosofi di tutto il mondo, precisamente com’era accaduto all’inizio della sua vicenda intellettuale, quando era il teologo più amato dai filosofi. Lo spiega bene Anthony Kenny nella sua Nuova storia della filosofia occidentale : «Con il Concilio Vaticano II san Tommaso sembra aver perso il particolare status di predominio di cui aveva goduto negli ambienti ecclesiastici (...). Alla svalutazione di Tommaso all’interno dei confini del cattolicesimo è corrisposta una sua rivalutazione nelle università laiche, in varie parti del mondo. Essa ha raggiunto dimensioni tali che, se guardiamo ai primi anni del XXI secolo, non è esagerato parlare di rinascita del tomismo (...). Questo nuovo interesse per san Tommaso è più vario e maggiormente critico rispetto alla precedente ricezione confessionale della sua opera».
In effetti, la rinascita del tomismo di cui parla Kenny è un fatto evidente, specie se non si guarda soltanto a quello che succede in Italia. Negli ultimi quindici anni, solo a considerare le introduzioni e i compendi del suo pensiero, si contano nel mondo non meno di diciannove titoli. Di questo tomismo «libero» e non confessionale, che l’americano Ralph McInerny ha felicemente definito «freelance», è da segnalare fra gli studi più recenti il volume di Paul O’Grady, del Trinity College di Dublino, Aquinas’s Philosophy of Religion , pubblicato nel 2014 da Palgrave Macmillan. Inoltre la prestigiosa, laica Oxford University Press, fra molti altri pubblicati negli anni scorsi, ha dato alle stampe quest’anno un volume di Gaven Kerr ( Aquinas’s Way to God ) e altri due ne annuncia già per il 2016 (a firma di Brian Davies della Fordham University di New York e di Anthony Lisska della Denison University nell’Ohio).
Qual è la caratteristica di questi studi? A parte alcuni ottimi lavori di carattere storico-filosofico (Jean-Pierre Torrell, Ruedi Imbach e Adriano Oliva, Pasquale Porro), soprattutto i saggi degli autori anglosassoni hanno il merito di rendere Tommaso d’Aquino non più un oggetto da museo, ma un interlocutore autorevole negli attuali dibattiti internazionali di filosofia (che si svolgono quasi tutti fuori dall’Italia, sebbene vi partecipi con autorevolezza anche qualche italiano fuggito). I temi più «caldi» sono i diversi sensi dell’essere, questione sulla quale Tommaso d’Aquino e Gottlob Frege sono alleati, grazie ai lavori di Peter Geach, contro l’univocismo di Willard Van Orman Quine; poi ancora la nozione di intenzionalità, che vede Tommaso d’Aquino, grazie agli studi di Anthony Kenny, alleato di Ludwig Wittgenstein contro ogni forma anche contemporanea di ritorno al dualismo di Descartes.
Su tutti però, quasi a fare da sfondo, campeggia, come ha notato Robert Pasnau, dalla Boulder University in Colorado, la fiducia accordata dal teologo cristiano Tommaso d’Aquino all’uso della ragione e al «rigore argomentativo». In tempi di fondamentalismo, in cui molti credenti, anche cattolici, rinunciano all’uso della ragione in nome della fede, non sembra affatto un tema di poco conto. Guardate che cosa scriveva Tommaso d’Aquino intorno al 1260: «Alcuni di essi, quali i maomettani e i pagani, non accettano come noi l’autorità della Scrittura (...). Perciò è necessario ricorrere alla ragione naturale, cui tutti sono costretti ad acconsentire». Medioevo? Non sembra affatto. Tra l’altro non deve essere dimenticato che qui Tommaso non faceva altro che ispirarsi all’atteggiamento di fior fiore di musulmani come Avicenna e Averroè, i quali già da tempo avevano sottolineato la necessità per un credente (islamico) di giovarsi della filosofia e di fare libero uso della ragione. Medievali? No, moderni. «Medievali» furono gli ecclesiastici che condannarono al silenzio perpetuo il tomista Knapwell nel 1286, «medievali» furono i tomisti che ridussero al silenzio i suareziani nel 1914. «Medievali» sono tutti coloro che, in nome di una fede, provano a far tacere la libertà della ragione: Parigi nell’anno del Signore 2015.