domenica 29 novembre 2015

Il Sole Domenica 29.11.15
Neuroanatomia
Non c’è il chiostro dell’anima
Le ricerche cliniche mostrano che non c’è nel nostro cervello un centro direzionale unico e segreto come ipotizzava Francis Crick
di Giorgio Vallortigara


«Son convinto sia il claustro, Rama, è lì che si trova il segreto» confida sornione Francis Crick, lo scopritore della struttura a doppia elica del DNA, al neuroscienziato Vilayanur Ramachandran, una settimana prima di morire. La parola latina claustrum sta per luogo chiuso e difficilmente accessibile, qual è, in effetti, il claustro dei neuroanatomici, una sottile striscia di cellule nervose, nascosta sotto la neocorteccia, e circondata da ogni parte da fasci di fibre che interconnettono l’una con l’altra le varie regioni corticali e queste, a loro volta, con altre regioni del cervello. I due claustri, uno sul lato sinistro e uno su quello destro, giacciono tra la corteccia insulare e i gangli della base, appena sopra le orecchie, nel centro del cervello. L’uso del termine italiano moderno “chiostro”, con l’idea di uno spazio scoperto attorno al quale disporre le varie parti del monastero, in maniera tale da facilitare il passaggio da una parte all’altra, rende tuttavia meglio l’idea di Crick e del suo collega Cristoph Kock sul ruolo del claustro come direttore d’orchestra del cervello e «conduttore» della coscienza. I neuroni del claustro inviano assoni verso le aree sensoriali della corteccia e altrettanti ne ricevono di ritorno (connessioni reciproche sono inoltre presenti anche con aree sottocorticali, come il talamo e la formazione reticolare). Insomma, l’anatomia fa del claustro un candidato ideale per un ruolo d’integrazione di diverse funzioni. Crick e Koch per primi nel 2005 ipotizzarono che il suo compito fosse appunto di combinare in un’esperienza unitaria i diversi aspetti di uno stimolo, come il colore, l’odore, il suono…
A parte l’intrigante ordito delle connessioni anatomiche, però, quali prove dirette vi sarebbero di un ruolo del claustro nella coscienza? Una viene da uno studio su un caso singolo, una signora cinquantaquattrenne affetta da epilessia che, nel corso di un intervento, ha mostrato una subitanea scomparsa dell’esperienza cosciente quando il chirurgo, alla ricerca del focolaio epilettico, ha stimolato elettricamente la regione tra l’insula e il claustro. L’interruzione della stimolazione elettrica era seguita dall’immediato ripristino dell’esperienza consapevole. Di questo intervallo di tempo nel corso del quale non v’era risposta alcuna agli stimoli, la paziente non ha conservato successivamente alcuna memoria. Una seconda prova deriva dalla cospicua presenza nel claustro di recettori k per gli oppioidi (che assomigliano ai recettori µ per gli oppioidi di sostanze ben conosciute come la morfina e l’eroina). È noto che il principio attivo della Salvia divinorum, una pianta usata nei rituali sciamanici di alcune popolazioni del Messico meridionale, si lega ai recettori k per gli oppioidi. E i resoconti di consumatori di Salvia divinorum suggeriscono importanti e specifici effetti sull’esperienza cosciente, come per esempio quello di una dissoluzione dell’io. Pur interessanti questi dati prestano il fianco a delle obiezioni. Difficile generalizzare un’osservazione basata su di un singolo caso, in un soggetto che per di più è affetto da una grave forma di epilessia. Difficile altresì argomentare che vi sia una disattivazione specifica del claustro nei consumatori di Salvia divinorum, perché i recettori k per gli oppioidi sono rintracciabili in molte altre regioni, come l’ippocampo, la corteccia prefrontale e il putamen, e proprio l’azione su queste altre regioni potrebbe essere responsabile delle alterazioni nella coscienza.
Il claustro, incastonato tra altre strutture e sottile com’è, risulta difficile da visualizzare con le attuali tecniche di neuro-immagine. Per studiarlo resta percorribile solo la tradizionale via della verifica degli esiti di un suo danneggiamento. Da poco sono stati pubblicati i risultati di uno studio piuttosto ampio, su 171 veterani della guerra del Vietnam, che avevano subito lesioni cerebrali focali prodotte da proiettili o da granate. Confrontando la frequenza e la durata dei disturbi della coscienza in pazienti con o senza lesioni al claustro è emerso un dato interessante: il danno al claustro sembra correlato alla durata, ma non alla frequenza dei disturbi alla coscienza. In altre parole il claustro è probabilmente importante per recuperare l’esperienza consapevole temporaneamente perduta dopo il danno, ma non nel mantenerla. A trentacinque anni dalla lesione, non vi sono segni che la capacità di avere contenuti di coscienza sia in qualche modo pregiudicata. Cattive notizie, quindi, per il compianto Sir Francis…
È degna di nota questa ossessione per il locus animae (che, come si sa, Cartesio associava invece all’epifisi, la ghiandola pineale). Locus animae è anche il titolo di un bel romanzo di Alessandro De Filippi uscito qualche anno fa per i tipi di Passigli, il cui protagonista segue le tracce di un fantomatico fisiologo, allievo di Freud, Irving Kastner, che cerca ossessivamente l’anima nella pineale, prima negli animali (senza successo) e poi negli esseri umani (con ancor meno fortuna, soprattutto per i soggetti dei suoi esperimenti). L’ossessione, io sospetto, deriva da un’illusione legata alla nostra esperienza fenomenica, un po’ come nel caso del libero arbitrio. La nostra esperienza è quella di soggetti che sentono di aver preso una decisione. Sappiamo, però, che questo sentire consapevole segue, e non precede, l’attività nervosa che è alla base della decisione stessa. Infatti l’attività che si può registrare nella corteccia motoria supplementare nell’imminenza di un’azione precede la nostra decisione cosciente di eseguire l’azione di quasi mezzo secondo. In maniera simile sentiamo che la nostra esperienza percettiva è unitaria, ma da ciò non consegue che vi debba essere un luogo unico nel cervello che è responsabile della costruzione dell’impressione dell’unitarietà della nostra esperienza. In effetti, la letteratura clinica suggerisce che specifiche lesioni possono produrre danni ai contenuti di specifiche esperienze, ma non a tutti. Certi pazienti con lesioni alle aree visive della corteccia presentano fenomeni di “vista cieca”(blindsight), potendo in alcune circostanze mostrare comportamenti visivi adeguati (ad esempio indovinare se un flash luminoso sia stato presentato oppure no nel campo visivo cieco) e dichiarando al contempo di non aver esperito alcunché. La scissione tra condotta appropriata (inconscia) ed esperienza (conscia) assente è tuttavia specifica dei contenuti dell’esperienza visiva. Ma come mai, se esiste un unico centro della coscienza, si può perdere coscienza per alcuni contenuti e non per altri? L’impressione, qui, è che si confonda l’esperienza dell’unitarietà della persona (che naturalmente deve avere una base nervosa, magari proprio nel claustro) con l’avere contenuti di esperienza di per sé (infatti può rappresentare un esempio di contenuto d’esperienza, certo molto spaventevole, anche quello relativo alla disgregazione dell’unità della persona…). Probabilmente il claustro è solo una porzione di una rete più vasta, una repubblica di meccanismi nervosi distinti che sostengono contenuti di coscienza indipendenti.
Chau, A. et al. (2015). The effect of claustrum lesions on human consciousness and recovery of function . Consciousness and Cognition, 36: 256-264.