Il Sole Domenica 22.11.15
Pollini eroico e fragile
di Carla Moreni
Nella musica si cerca per tutta la vita», commentava qualche tempo fa Maurizio Pollini. Sobrio, pacato, senza enfasi. Come sempre. Il pianista milanese, 73 primavere, è ritornato a suonare alla Scala. Il concerto, attesissimo, era insieme un “recupero” e uno “straordinario”, come con un buffo calembour si leggeva sulla prima pagina del programma di sala: straordinario perché legato ancora alla stagione Expo e recupero perché appunto previsto nello scorso maggio, quando era stato cancellato per motivi di salute.
Lunedì scorso, in teatro traboccante, con pubblico molto dedito alle fotografie dai flash multicolori (placati nella seconda parte della serata, ma in futuro sarà meglio anticipare l'annuncio del divieto all'inizio) Pollini si è presentato fragile, intimidito. Eroe alla ricerca di un'essenza che - i musicisti lo sanno - non viene mai data per sempre. Con la sua fama, Pollini potrebbe entrare ogni volta in scena con l'aura del gigante. Intangibile dalla fatica. Superiore. Altri lo hanno fatto, e lo fanno. Non lui. Ed è incredibile che un artista tanto amato e gigantesco soffra ancora in concerto: nel nostro tempo, dove la facilità è ovunque obbligatoria, questo sua esibita fatica è un lascito che fa riflettere, un monito esemplare.
L'impaginato presentava Schumann, nella prima parte, con l'ostico Allegro op.8 e la visionaria Fantasia op.17. Il pianoforte, compagno di una vita, non sembrava indirizzato a suonare verso la vasta platea, ma chiamato a dialogare intimamente, smarrito: la mano destra delicata, in lirismi decantati e oasi melodiche lucenti, la sinistra invece scura, severa, tenace nei disegni ossessivi. Ne usciva uno Schumann ancipite, di qui fanciullesco, in appaganti semplicità, di là tetro e fosco, ingabbiato in forme oscure e antiaccademiche. A luci totalmente spente in sala – come vuole Pollini – il volume raccolto richiamava tinte cameristiche, sonorità introspettive. Ma tenute su tempi nervosi, in accelerando. E straziate da accordi violenti come macigni, rabbiosi, di una tragicità che solo al pianoforte Schumann ha consegnato.
Chopin, nella seconda parte, approdava a un'altra dimensione: rassicurante, abbandonata alle potenzialità dello strumento, non più avversario da affrontare ma alleato, duttile e confidente. In un'unica campata il pianista suonava per quasi un'ora consecutiva, meno teso, proponendo con passo lesto la Barcarolle in fa diesis maggiore, i due contrappuntistici Notturni op.55, la sontuosa Polonaise-Fantaisie op.61 e uno scolpito Scherzo n.3. Due bis, sempre chopiniani, vedevano la Scala tutta in piedi, a osannare il grande. Domenica 29, con un programma simile, Pollini chiude il Festival pianistico di Lucerna: chi può, si metta in viaggio.
Allegro op.8 e Fantasia op.17 di Schumann, Barcarolle op.60 , Deux Nocturnes op.55, Polonaise-Fantaisie op.61, Scherzo n.3 di Chopin; Maurizio Pollini, pianoforte; Teatro alla Scala