Il Sole Domenica 22.11.15
Mario Tronti
Inadeguatezza e spiritualità
di David Bidussa
Libro pessimista, alle volte anche “crudo” che ha il tono della “resa dei conti”. Dello spirito libero di Mario Tronti è un testo scritto con asprezza, ma senza rancore, in cui coabitano lucidità e spregiudicatezza .
Condizione che nasce dalla consapevolezza che questa sia un’epoca senza luoghi altri della riflessione, caratterizzata dalla vittoria del senso comune. Epoca che immette a una dimensione tirannica che per Tronti «oggi viene esercitata non da chi gestisce il potere [ovvero dall’alto], ma da chi lo concede [e dunque dal basso]» [p. 92]. Epoca che non è fondata sulla libertà di pensiero perché, scrive, «pensare qualcosa, e qualcosa di diverso da quello che tutti dicono, [produce] parole inascoltate, e quindi parole mute»[ p. 42]. La condizione di smarrimento di cui testimonia la riflessione di Tronti è data dalla difficoltà di trovare una qualche lettura che esprima il senso del proprio presente, una volta venuta meno l’ipotesi del marxismo come risposta al capitalismo.
Venuto meno l’esperimento sovietico (Tronti insiste più volte che il vero momento di fine del sistema non è il crollo del muro di Berlino nel novembre 1989, ma si colloca nell’estate 1991 con la fine dichiarata dell’Urss) ciò che viene travolto è tutto il profilo di speranze (reali o presunte) che aveva attraversato l’intero Novecento. «Il socialismo era irriformabile?» si chiede Tronti. «Smantellare il partito si poteva solo per costruire lo Stato. Ci voleva Bismark. E c’è stato Eltsin» [p. 27].
Originati da occasioni diverse, i 41 testi che compongono questa “stravagante” antologia e che si legge con un «corpo a corpo» con le proprie convinzioni di un tempo ormai finito, hanno una loro profonda coerenza interna. Mario Tronti ha attraversato le grandi crisi politiche della sinistra di cui ha fatto e continua a fare parte, con costanza, vedendone molto spesso l’inadeguatezza, e tuttavia senza mai “disertare”. Ricominciando ogni volta. Non perché sia convinto che quella che abbiamo di fronte sia una grande storia, ma al contrario perché è convinto, come scrive, che «ci è stato dato di vivere in una storia minore», in un’epoca priva di profezie, e tuttavia, consapevole che da quella condizione si tratta di ricomporre i segmenti di un pensiero che vive di vaghi segnali, senza segni forti [pp. 209-210].
Quei segni forti Tronti li va a cercare nel territorio del cristianesimo, soprattutto nelle esperienze di riflessione radicale rappresentate dalla Comunità di Bose e dalle domande che propone Enzo Bianchi nel suo Lessico della vita interiore (Bur). Una lettura del vissuto teologico che Tronti estende anche alla Chiesa, soprattutto al processo inaugurato con Benedetto XVI che egli non legge come “ostacolo” alla laicità ma come punto di forza per non soggiacere all’etica del consumismo.
Quella di Tronti della Chiesa come “ostacolo” alla modernità non è una rivelazione improvvisa che esce da queste pagine. È una convinzione a cui aderisce da tempo e che si esprime nella riflessione sulla necessità di una nuova alleanza tra credenti e non credenti che pubblica con Pietro Barcellona, Giuseppe Vacca e Paolo Sorbi su «Avvenire» nell’ottobre 2011 (poi riproposta con il titolo Emergenza antropologica, Guerini e Associati). È un tema che qui Tronti riprende dettagliatamente e insistentemente, e non per un’improvvisa conversione religiosa, ma per la sensazione che nell’epoca della tecnica, la «spiritualità è un linguaggio della crisi» e contro l’adeguamento. Linguaggio fatto di parole come «pazienza, attenzione, meditazione, idolatria, ascolto, silenzio, povertà, solitudine». «Prendetele una per una – scrive – e riflettete se non siano oggi tutte parole alternative a tutto ciò che è» [p. 228].
Mario Tronti, Dello spirito libero. Frammenti di vita e di pensiero,
il Saggiatore, Milano, pagg. 316, € 20,00