Corriere La Lettura 22.11.15
E il pacifico borghese indossò l’elmetto
L’ufficiale come modello di virtù nell’Italia liberale: una ricostruzione di Benadusi
di Marco Gervasoni
La guerra è ritornata a essere l’orizzonte del nostro tempo. Ci coinvolge tutti, ma ovviamente spinge sul proscenio i combattenti materiali, cioè i militari. E qui l’Italia ha un problema. Che riguarda il rapporto tra il Paese e il suo esercito, ben più tenue e opaco rispetto a quello intrattenuto da altri Stati. Basti pensare all’immagine dei soldati nel nostro cinema: tranne rarissime eccezioni, si oscilla tra sarcasmo e populismo, con gli «alti vertici» sempre ottusi e involontariamente comici e i «soldati» sempre candidi, costretti a giacere sotto il tallone degli ufficiali.
Per comprendere la difficile identificazione, sentimentale ancor prima che razionale, tra Paese ed esercito, occorre andare alle origini, all’Italia liberale e prefascista, come fa Lorenzo Benadusi nel libro Ufficiale e gentiluomo (Feltrinelli), che apre uno squarcio piuttosto nuovo sull’esercito regio. Ciò che intriga l’autore, influenzato da George L. Mosse, è infatti il rapporto tra i valori e la formazione di una coscienza nazionale. E al centro del libro sono proprio i valori o, come preferisce chiamarlo l’autore, l’ ethos degli ufficiali. Ai quali nell’Italia liberale è richiesto un compito anche più gravoso di quello di difendere il Paese. L’ufficiale deve fungere da modello di vita, essere continua fonte di imitazione nel tradurre i valori tradizionalmente propri dell’aristocrazia (onestà, coraggio, idealismo, coerenza) in un mondo e una società che si vogliono moderni. Un modello da seguire per tutti, ma ovviamente in primo luogo per i borghesi, l’ossatura della classe dirigente italiana, che a loro volta sono alla ricerca di un ethos .
Tutt’altro che semplice è però il rapporto tra i valori della borghesia e quelli militari, per molti versi antitetici. Come mostra Benadusi, nell’Italia liberale i due orizzonti valoriali vanno tuttavia alla ricerca l’uno dell’altro, sia perché sono sempre più i borghesi a diventare ufficiali, sia perché a sua volta l’esercito procede a un aggiornamento culturale. Certo, le difficoltà restano: la disfatta di Adua nel 1896 rappresenta un durissimo colpo per la credibilità dell’esercito, che si rimetterà solo con la guerra di Libia. Nel frattempo, molti, a cominciare dai nazionalisti, accusano i militari di essersi imborghesiti e di aver perso finanche la voglia di combattere. La guerra di Libia e soprattutto la Grande guerra siglano comunque l’avvenuto incontro tra valori borghesi e militari, come mostrano le lettere dal fronte degli ufficiali.
Contrariamente a quanto sostiene una certa vulgata, la Prima guerra mondiale non coincide infatti con l’andata della borghesia verso il popolo, ma piuttosto con un rinsaldarsi dei diversi spezzoni dei ceti medi attorno ai propri valori, ora fatti propri anche dall’aristocrazia, e a cui le classi subalterne dovrebbero conformarsi. Poiché questo non avverrà, ecco spiegata una delle ragioni che, finita la guerra, provocano il malessere degli ufficiali smobilitati, molti dei quali saranno la base portante del fascismo.