domenica 22 novembre 2015

Corriere La Lettura 22.11.15
Lasciatemi parlare, sono un e-taliano
Trent’anni fa lo studioso Francesco Sabatini sanciva la nascita dell’«italiano dell’uso medio». Poi è arrivata la rivoluzione di computer e cellulari. Ora sappiamo che digitare non significa scrivere, ma quella telematica è la nostra lingua del futuro: una lingua vera
di Giuseppe Antonelli


Nei primi anni Ottanta, del computer si aveva ancora un’idea molto vaga. Qualcuno raccontava che la Nasa li usava per i razzi spaziali; altri che i giapponesi ci disegnavano i robot dei cartoni animati. Dicendo il cellulare ci si riferiva alla camionetta della polizia e sentendo parlare di medium, più che alla comunicazione di massa, veniva da pensare ai fenomeni paranormali. Nel nostro immaginario c’era solo il digitale extraterrestre: quello di «ET telefono casa», il mostriciattolo alieno col lungo dito puntato verso il cielo.
«Il telefono, la tua voce», recitava a quel tempo un fortunato slogan: perché col telefono si poteva solo parlare (detta oggi, è una cosa che fa quasi sorridere). La telefonata ha ormai sostituito la lettera, sostenevano gli studiosi di comunicazione: è una «lettera simultanea» che passa attraverso il parlato. Di scrivere, profetizzavano, tra un po’ non avrà più bisogno nessuno.
È in questo contesto che, nel 1985, il linguista Francesco Sabatini sanciva la nascita dell’«italiano dell’uso medio». Un italiano che finalmente gli italiani cominciavano a parlare davvero, affiancandolo o sostituendolo al dialetto nella vita di tutti i giorni. Oggi, a trent’anni di distanza, c’è anche un italiano che gli italiani scrivono davvero nella loro vita di tutti i giorni: è l’ e-taliano dell’uso immediato. Quello che si è diffuso con le email, si è affermato con gli sms e adesso quasi tutti usiamo nei social network e nelle messaggerie istantanee. L’e-taliano è il punto d’arrivo (inevitabilmente provvisorio) di una storia che dura giusto da tre decenni ed è un po’ la storia di ognuno di noi. Perché la storia siamo noi, noi che scrivevamo le lettere e oggi scriviamo su Whatsapp.
Storia di un e-taliano
Per misurare la rapidità con cui l’e-taliano è cambiato e ci ha cambiato, basta voltarsi un attimo indietro. La storia inizia appunto negli anni Ottanta, quando cominciano a diffondersi anche da noi i primi sistemi di videoscrittura. Nel 1983, alla domanda «Scusi, lei scriverebbe un romanzo con il computer? », tutti gli scrittori interpellati rispondevano di no. «Lo scrittore potrebbe scrivere benissimo sulle tavolette di Ninive, incidendo la creta», aggiungeva Alberto Moravia. Neanche uno scrittore di fantascienza, d’altronde, avrebbe potuto prevedere che tutti saremmo tornati a scrivere su delle tavolette (sia pure chiamandole tablet ).
In mezzo a tanti apocalittici, uno dei pochi entusiasti era proprio Umberto Eco, che l’anno dopo — in una delle sue «Bustine di Minerva» — scherzava sul divario generazionale creato dall’informatica: «Il computer è come il cucciolo di un cagnaccio feroce, non fa male ai bambini, si lascia mettere le mani in bocca, li porta a cavalluccio, e se ci riprovasse un grande lo morderebbe». Oggi quell’informatica è nient’altro che archeologia e un nuovo divario ci separa dai nativi digitali. Una volta — aveva tre anni — ho provato a spiegare a mia figlia che quando mamma e papà erano piccoli il computer non esisteva. Lei ha sgranato gli occhioni e mi ha detto: «Allora giocavate con l’ ipèd »? Per loro, per i cosiddetti millennial , scrivere — anzi, digitare — diventa prestissimo un gesto naturale: per loro l’e-taliano è un’altra lingua madre.
Digito ergo sum
«L’email si scrive o si parla?», si chiedevano i linguisti negli anni Novanta. L’email si digita, sarebbe la risposta. Solo che la domanda ormai non ha più senso: nella ristrutturazione generale dei vari tipi di e-taliano, infatti, la posta elettronica è diventata il tipo di testo più formale. Il più simile, nel tono e nella funzione, alla lettera tradizionale; il più lontano dal parlato. Di fatto, un mezzo già vecchio. E tutto questo è successo in meno di vent’anni. Nel 1996, in una puntata della sua trasmissione Mediamente , Carlo Massarini si sentiva ancora in dovere di spiegare cosa fosse una email. E due anni dopo la commedia sentimentale intitolata You’ve got email veniva proposta al pubblico italiano come C’è post@ per te . Segno che la posta elettronica era qualcosa di ben poco familiare per il grande pubblico. Se si va a riguardare il film, oltretutto, ci si accorge che i due protagonisti — impersonati da Meg Ryan e Tom Hanks — non comunicano in realtà per email ma tramite un servizio di messaggeria istantanea. Un tipo di servizio che negli Usa si è imposto molto prima che da noi.
Il profilo migliore
Una delle prime cose che si chiedeva in chat era «da dove dgt?». Un’altra domanda che oggi, nel nuovo contesto in cui usiamo la comunicazione telematica, non avrebbe molto senso. Oggi non è il dove che conta, ma il chi. Realtà virtuale e realtà reale si sono molto riavvicinate e questo — senza dubbio — ha contribuito a indebolire i vari usi gergali: le abbreviazioni, le grafie particolari, le formule fisse.
Negli anni Zero quegli usi avevano destato un grande allarme. «CVD NN HAI CPT QST TXT :)» era lo strillo di una campagna pubblicitaria che offriva una Guida all’uso responsabile del cellulare , «per capire meglio il linguaggio di tuo figlio». E in rete era facile incontrare banner come Questo blog non è un essemmesse o le lamentele di chi protestava: «nn kpsc 1 kzz d qll k scrvn i ggggiovani!». Oggi la situazione si è capovolta. Uno dei dialoghi riportati nella pagina Mamme che scrivono messaggi su Whatsapp rende bene l’idea. «Tu k fai?», chiede la mamma. «K non lo scrivere più», risponde la figlia. «Prima mi insegni a scrivere alla moda e poi non va bene. Deciditi». «K si usava quando ero in seconda media, ora si usa un semplicissimo che». Le abbreviazioni nei messaggini, ti spiegano i ragazzi se chiedi conferma, sono ormai «da sfigati».
Così appare finalmente chiaro che la vera novità dell’e-taliano è un’altra, ed è la frammentarietà dei testi che ogni giorno — quasi ininterrottamente — scriviamo e leggiamo.Testi non solo brevi, ma incompleti; testi che per esprimere a pieno il loro senso hanno bisogno quasi sempre di un elemento esterno. Come nei dialoghi, in cui ogni battuta si appoggia a quella dell’interlocutore. Come nei post dei social network, in cui la multimedialità di link e immagini non rappresenta ormai un’espansione ma una condizione necessaria.
I post, d’altra parte, non viaggiano per posta e l’e-pistola è altro dall’epistola. Non possiamo stupirci, allora, se digitare non è più lo stesso che scrivere. Da questo punto di vista, quello telematico è senza dubbio l’italiano del futuro. Non un italiano perfetto, per carità, ma almeno un e-taliano vero.