venerdì 27 novembre 2015

Il Sole 27.11.15
Rapporto Oasi 2015. Allarme del Cergas Bocconi: i segnali di riduzione dei servizi e delle prestazioni sono «forti e pesanti»
Sanità pubblica vittima dei tagli
Lo stato patrimoniale delle aziende sanitarie presenta debiti miliardari
di Roberto Turno


Viviamo mediamente di più (82,9 anni) ma l’8% di noi rinuncia alle cure perché costano troppo. Spendiamo 33 miliardi di tasca nostra per la salute e dalla riabilitazione alle visite e gli accertamenti specialistici i costi “out of pocket” sono la maggioranza e solo le cure in ospedale sono quasi sempre gratis. Abbiamo ridotto del 40% asl e ospedali-azienda e dal 1990 tagliato ben 130mila posti letto, ma curarsi fuori dall’ospedale è quasi impossibile da Roma in giù. Da tre anni i bilanci e il conto economico sono addirittura in attivo, ma lo stato patrimoniale delle aziende sanitarie è un disastro con debiti miliardari nascosti a partire dalle regioni sotto piano di rientro che riguardano ormai quasi metà degli italiani. E gli investimenti restano una chimera. Parola della Bocconi: una cosa e il suo opposto, una specie di Giano bifronte, la sanità pubblica italiana. Con la palla al piede di un Sud che arranca e i suoi pazienti che pagano un doppio svantaggio di cure che mancano e di costi in più. E questo, nonostante gli sforzi di questi anni, i tagli a colpi d’accetta che continuano a lasciarci un sistema che è una grande incompiuta.
Ecco il check più aggiornato della sanità pubblica italiana. Il quadro che esce dal «Rapporto Oasi 2015» curato dall’intero staff del Cergas Bocconi, che sarà presentato oggi a Milano, parla chiaro. Tra ombre che si stagliano nette, ma anche segni eloquenti di miglioramento. Che però non bastano mai, anzi. E un giudizio che emerge dal rapporto, di cui è responsabile scientifico il professor Francesco Longo: poiché il 35% del Fondo sanitario è esternalizzato con prestazioni acquistate dai privati, è più facile tagliare in sanità, colpendo proprio i trasferimenti alle "terze economie", che toccare altrove nella spesa pubblica. Insomma, si colpiscono i privati e intanto si abbassa l’asticella delle prestazioni. Col risultato, però, che tra un colpo d’accetta e l’altro di margini per altri interventi per risparmiare non ce ne sono più così tanti. Certo, c’è ancora da razionalizzare e da colpire tra sprechi e inefficenze. Ma fino a un certo punto. Perché i segnali di riduzione dei servizi e delle prestazioni sono appunto forti e pesanti. Col management che intanto deve operare sul fronte e che non sempre ha armi e mezzi anche legislativi giusti per poter sempre incidere dove serve. Anche se poi, si fa rilevare, nell’opinione pubblica il «messaggio» della lotta alle inefficenze prevale «sul tema dell’equità». A conferma, scrivono gli autori del rapporto del Cergas Bocconi, «che le attuali policy stanno godendo di una narrativa politica favorevole ed efficace». Una «narrativa», appunto, non sempre la realtà dei fatti.
Una realtà che racconta come la spesa sanitaria pubblica tra il 2009 e il 2014 ha registrato una crescita media annua dello 0,7%, ribaltando il +6% annuo del quinquennio precedente. Frutto dei tagli e dei mancati aumenti dopo l’esplosione della grande crisi. Da tre anni l’equilibrio di bilancio complessivo sta reggendo, c’è stata una «robusta» capacità di risposta alle misure messe in cantiere, con i manager diventati «esecutori materiali» sul campo delle manovre. Mai però a costo zero per gli italiani. Soprattutto nelle regioni sotto tutela, che hanno potuto mostrare conti apparentemente in rosa grazie alle super addizionali e ai ticket. Mentre è cresciuta la spesa dei cittadini. Con un livello di qualità e quantità dei servizi che non raramente «è stato intaccato». E con risultati patrimoniali che segnano rosso profondo, sempre al Sud, sempre dove i conti non tornano. A dispetto dei trend di salute, di aspettativa di vita, di crescita del sistema.
Un ginepraio. Per uscire dal quale il Cergas Bocconi presenta una ricetta in dieci punti: tagliare i reparti che hanno poca attività, ridurre gli ospedali a partire dalla trasformazione di quelli piccoli, accorpare le aziende e ridisegnarne la geografia, dare una missione specifiche a quello con budget che supera 1 mld di euro, ridefinire accesso ed erogazione dei servizi in base alla "tipologia" dei pazienti. Ma anche fare trasparenza nei criteri di accettazione dell’innovazione farmaceutica senza barriere regionali, spingere sull’Hta e sui sistemi informativi. Poi due jolly non facili: integrare meglio col Ssn quei 33 miliardi l’anno di spesa privata e attuare un mix di politiche per il personale per affrontare la mancanza di medici e il loro invecchiamento o il burn out che esplode. Magari, perché no, di riflesso per dare più opportunità ai giovani.