Il Sole 26.11.15
Giornalismo. Il 14 gennaio lascia il direttore di Repubblica
Ezio Mauro, il grande «traghettatore»
di Raffaele Liucci
Ha portato il post-comunismo dal Sol dell’Avvenire all’economia di mercato
Non era un compito facile, per Ezio Mauro, raccogliere quasi vent’anni fa l’eredità di Eugenio Scalfari. Scalfari è stato un grande fondatore, direttore e comproprietario di giornali: il settimanale «L’Espresso», lanciato nel ’55 insieme ad Arrigo Benedetti, cui subentrerà alla direzione nel ’63; e «la Repubblica», nata nel ’76 e diventata, nel giro di pochi anni, uno dei due più diffusi quotidiani italiani, in un serrato testa a testa con il «Corriere».
Ezio Mauro, invece, quando il 14 gennaio 1996 succedette a Scalfari aveva un passato di giornalista puro. Dapprima cronista e inviato speciale nei quotidiani torinesi «La Gazzetta del Popolo» e «La Stampa». Poi, alla fine degli anni Ottanta, una breve parentesi alla «Repubblica», in cui racconterà da Mosca la perestrojka di Gorbaciov. Infine, il ritorno alla «Stampa» nel 1990, come condirettore e poi, dal settembre 1992, direttore. Lo attenderà il biennio di Tangentopoli (1992-’94), forse il periodo più fortunato attraversato dalla carta stampata italiana, finalmente affrancata dalla «tutela» dei potentati politici ed economici che avevano dominato la prima Repubblica, e condizionato l’informazione.
Se Scalfari è un personaggio formatosi nel crogiolo del «Mondo» di Mario Pannunzio, e lo ha fatto sentire nella sua lunga direzione, Mauro ha portato in dote a «Repubblica» una solida cultura torinese e “azionista”. Un bagaglio che gli tornerà utile negli anni del berlusconismo trionfante, quando il suo quotidiano difenderà la Costituzione e l’eredità antifascista ispirandosi alla lezione di due grandi maestri sabaudi come Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone.
Inflessibile nel respingere il revisionismo anti-antifascista, la «Repubblica» di Mauro ha dovuto traghettare il variopinto arcipelago del post-comunismo italiano dalla poesia alla prosa, ossia dal sole dell’avvenire all’economia di mercato quale unico orizzonte possibile (in sintonia con l’editore Carlo De Benedetti). Per molti anni le sue pagine hanno fatto da cassa di risonanza allo psicodramma della sinistra italiana, uscita malconcia dal crollo del muro di Berlino (autunno ’89).
È innegabile che i periodi giornalisticamente più felici di «Repubblica», probabilmente anche dal punto di vista della tiratura, siano stati quando a Palazzo Chigi c’era l’esecrato Cavaliere. Mauro poteva contare su un buon parterre di ‘inchiestisti’, a partire da Giuseppe D’Avanzo, capaci di fare le pulci ai governi in carica. Quando invece l’esecutivo era guidato dalle traballanti coalizioni di centro-sinistra, diventava senz’altro più difficile confezionare un foglio accattivante per i suoi fedeli lettori. Storicamente, lo zoccolo duro della sinistra italiana ha sempre preferito stare all’opposizione piuttosto che bere l’amaro calice del potere.
Con Mauro, le pagine culturali di «Repubblica» sono invece parse meno legate all’attualità politica, dando frequente spazio a molti autori adelphiani, quasi sempre estranei alla tra.dizione laica e illuminista incarnata dal quotidiano romano.
Probabilmente, gli storici del giornalismo ricorderanno Ezio Mauro come uno dei più longevi direttori, insieme a Luigi Albertini, Giulio De Benedetti e, ovviamente, Eugenio Scalfari. Lascerà il 14 gennaio in coincidenza con il suo ventennale. Come commentatore, Mauro è stato piuttosto parco durante il suo “ventennio”. Interveniva soltanto nei momenti acuti, con prese di posizione incisive e capaci di lasciare un segno, mentre Scalfari continuava (e continua) a firmare la sua tradizionale riflessione domenicale.