giovedì 26 novembre 2015

Il Sole 26.11.15
«Serve una cabina di regia tra gli alleati»
Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, spiega al Sole 24 Ore come sta operando lo strumento militare italiano per contrastare il terrorismo fondamentalista
intervista di Gerardo Pelosi


C’è un “italian style” nelle missioni militari e nella lotta al terrorismo. È vero, abbiamo scelto la “strategia globale” invece di interventi spot e raid aerei ma il nostro contingente nella coalizione anti-Isis è di gran lunga il più consistente tra i Paesi europei (diventeranno presto 750 uomini contro i 90 tedeschi o gli 80 francesi in Iraq). Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, spiega al Sole 24 Ore come sta operando lo strumento militare italiano per contrastare il terrorismo fondamentalista.
 Assicura l’impegno di circa 11mila uomini, 4.600 all’estero nelle varie missioni e 6.150 in Italia per metterci al riparo dai rischi di attacchi, soprattutto ora che siamo alle porte del Giubileo. Non nasconde le difficoltà del momento: «Siamo di fronte a un nemico nuovo, subdolo e nessuno può ritenersi immune». Non nasconde, il ministro, i problemi che la coalizione si trova ad affrontare: la mancanza di una “cabina di regia” che garantirebbe un coordinamento maggiore e potrebbe evitare problemi come quello che ha causato lo sconfinamento dell’aereo russo in Turchia e la scarsa condivisione delle informazioni delle intelligence.
In questi giorni il filo diretto tra Palazzo Baracchini con Palazzo Chigi è praticamente continuo così come con i colleghi europei. Mentre attende di parlare al telefono con il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian in vista dell’incontro di questa mattina tra Renzi e Hollande, la Pinotti snocciola i dati del nostro impegno. Sa già che il presidente francese François Hollande questa mattina chiederà a Renzi un maggiore impegno in Libano (dove già abbiamo 110 uomini) e Mali per consentire ai francesi di rischierare alcune centinaia di uomini in altri Paesi africani. Ma ci tiene a ricordare che l’Italia è stata la prima a capire che le vere minacce alla stabilità dell’Occidente venivano da Sud e non da Est.
Cominciamo dall’inizio. In oltre un anno la coalizione guidata dagli Stati Uniti non è riuscita a piegare l’Isis. Come mai?
Siamo stati i primi a segnalare in Europa che la vera minaccia non veniva da Est ma da Sud. Mentre tutti concentravano i loro sforzi su Russia e Ucraina noi a Bruxelles e in tutti i fori internazionali attiravamo l’attenzione sul disfacimento della Libia, sulla crisi siriana, sulle infiltrazioni dei fondamentalisti in Iraq e sui “foreign fighters”. Lo abbiamo detto al vertice Nato del Galles di un anno fa durante il quale Renzi propose di togliere le spese della Difesa al Patto di stabilità. Lo abbiamo ripetuto durante il semestre Ue a presidenza italiana. Domandavamo: per il futuro dobbiamo pensare che il nemico sarà la Russia o l’Isis?
Ma ora la minaccia è chiara a tutti. Dove abbiamo sbagliato?
La debolezza della coalizione non è tanto quella militare, il fatto che non abbiamo messo gli scarponi sul terreno, siamo più di 60 Paesi che si confrontano con non più di 50-70mila uomini, ci dicono, dell’Isis (basti pensare che l’Italia ha 170 mila persone nelle forze armate). Allora perché il Califfato è riuscito a conquistare influenza e fare propaganda? Per molti mesi alcuni dicevano solo a parole di combattere l’Isis ma in realtà pensavano di poterlo utilizzare per ridimensionare i nemici storici nella regione. All’inizio le varie potenze regionali hanno pensato di potere giocare attraverso l’Isis una partita in cui loro forse pensavano di riaffermare la loro egemonia. E oggi ci troviamo di fronte a numeri non eccezionali dell’Isis ma a capacità militari e strategiche significative. Le menti del terrore, le vecchie élite militari di Saddam Hussein dopo la guerra e la pulizia etnica che c’è stata dei sunniti sono diventati i cervelli di Daesh. Se a questo aggiungiamo i flussi di finanziamento illegali e non controllati abbiamo di fronte un nemico pericoloso.
Cosa manca alla coalizione?
Occorre più coordinamento. Una cabina di regia vera che potrebbe evitare episodi come quello dello sconfinamento dell’aereo russo in Turchia, un episodio grave ma nessuno in questo momento vuole cavalcare perché un’escalation sarebbe un regalo ai terroristi. La Turchia ha lamentato più volte questi sconfinamenti e l’affollamento su quei cieli di aerei di varie nazioni non favorisce la chiarezza delle operazioni. E poi manca una vera condivisione dell’intelligence almeno tra i Paesi europei. Capisco perfettamente che ognuno voglia difendere le proprie informazioni ma almeno sul segmento terrorismo dovremmo fare uno sforzo maggiore soprattutto in un terreno come quello europeo dove non esistono più confini fisici e c’è grande libertà di movimento.
Il piano da due miliardi di Renzi, gli 80 euro alle Forze armate sono una risposta?
Il piano di Renzi coglie due necessità: dare risposte immediate come il miliardo sulla sicurezza e gli 80 euro alle forze armate e le risposte di lungo periodo dove la cultura riveste un ruolo centrale per dare un messaggio di tolleranza.
Con il Giubileo alle porte l'Italia è pronta a contrastare queste minacce?
Il terrorismo è un nemico subdolo ma sarebbe sbagliato fare allarmismo. So solo che noi stiamo facendo il massimo. Mi sento però di dire che con 11mila militari impegnati in Italia e all’estero dobbiamo sentirci protetti e pronti a reagire: 4.600 uomini sono impegnati in 25 missioni in 18 Paesi primi fra tutti Libano, Kossovo, Afghanistan, Iraq, Somalia e il resto in Italia di cui 2mila ora a Roma per il Giubileo e 600 impegnati nel Mediterraneo del Sud con la missione “Mare sicuro” per contrastare le minacce che possono venire dalla destabilizzazione della Libia, garantire la navigazione e proteggere le piattaforme petrolifere off shore anche perché pure dal mare potrebbero venire dei rischi alla nostra sicurezza.
Il fatto di non partecipare ai raid aerei ci mette al riparo da rischi di attentati?
Per i nostri militari che stanno lì se uno sta su un aereo che va a compiere strike o che va a illuminare gli obiettivi il rischio è lo stesso. Anzi abbiamo fatto un numero elevatissimo come individuare gli obiettivi. Quindi non è la partecipazione diretta ai raid che fa la differenza. Anche la questione dei Tornado era diventato il discrimine per sentirci dentro o fuori della coalizione ma non è quello il problema. Anzi, come numero di uomini impiegati siamo il primo in Europa.
Quanti uomini italiani sono impegnati nella coalizione anti- Isis?
Sono stata io a chiedere al capo di Stato maggiore della Difesa di fare il massimo sforzo. Sono circa 600 gli uomini sul terreno e diventeranno 750 con il nuovo decreto missioni. Abbiamo a Baghdad e a Erbil 380 addestratori dell’esercito e truppe speciali che insegnano le operazioni alle truppe speciali locali. A Baghdad operano un centinaio di carabinieri richiesti esplicitamente dal generale americano Allen e dal governo iracheno che ha apprezzato le capacità dei nostri carabinieri di dialogare con le popolazioni locali e 250 dell’aviazione in Kuwait.
Nessun raid ma l’Italia si candida ad avere un ruolo nella regia diplomatica con l'invito a Kerry, Lavrov e Zarif il 10 dicembre a Roma.
L’Italia ha un modo tutto suo di stare nelle missioni militari che è molto “italian style”. Siamo riconosciuti come professionisti molto competenti e abbiamo una capacità unica di dialogare con le popolazioni locali facendo “peace keeping”. Il generale Portolano parla con i libanesi e parla con gli israeliani in una dimensione che è militare ma anche diplomatica. Anche sulla Siria, pur non intervenendo, abbiamo avuto un ruolo e agito perché al tavolo sedessero Russia e Iran. I Siryan talks sono un modello di riferimento.