giovedì 19 novembre 2015

Il Sole 19.11.15
Isole, monito di Obama alla Cina
Usa con le Filippine per fermare le contese territoriali nel Mar cinese meridionale
Vertice Apec. Si chiude oggi a Manila il summit dei 21 Paesi dedicato alle tensioni nell’area e al terrorismo internazionale
di Stefano Carrer


TOKYO La competizione strategica tra Stati Uniti e Cina sul piano dell’influenza economica e anche militare in Asia è balzata come non mai sotto i riflettori in occasione del vertice dei 21 Paesi dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec), che si chiude oggi a Manila. Un summit dove sono diventate più importanti due questioni estranee all’agenda ufficiale del Forum economico: le tensioni nel Mar Cinese Meridionale e il terrorismo internazionale.
Se quest’ultimo confluirà nel comunicato finale di oggi – con la condanna degli attentati di Parigi e l’invocazione di una “voce comune” della comunità globale – probabilmente la resistenza cinese impedirà ogni citazione dei dissensi sul fronte marittimo. Ma ne ha parlato esplicitamente il presidente Usa Barack Obama, dopo l’incontro con il padrone di casa Benigno Aquino. Dichiarando di aver discusso con lui delle attività cinesi nell’area, Obama ha detto di aver «concordato sulla necessità di passi decisi per abbassare le tensioni, compreso l’impegno a fermare ulteriore “land reclamation”, nuove costruzioni e militarizzazione in aree contestate nel Mar Cinese Meridionale».
Un altolà in piena regola che ha subito provocato una dura reazione da parte di un portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, secondo cui sarebbero gli Stati Uniti a dover smettere di alzare le tensioni e di contestare attività perfettamente legittime.
Dopo aver di recente inviato una nave da guerra per un passaggio entro le 12 miglia da un ex atollo trasformato dai cinesi in vera e propria isola (Subi Reef, nell’arcipelago delle Spratly) e aver fatto sorvolare l’area (cruciale per i commerci internazionali) da bombardieri B-52 per affermare la libertà di navigazione anche aerea, il presidente statunitense non si limita alle parole: ha fatto accompagnare il suo nono viaggio in Asia dall’annuncio che Washington stanzierà circa 250 milioni di dollari per aiutare alcuni Paesi che si affacciano su quel mare a rafforzare i controlli territoriali.
Il 30% di queste risorse andrà alle Filippine, ai quali gli Usa si apprestano a cedere due mezzi navali. Peggio ancora (per Pechino) è stato quanto Obama ha detto visitando l’ammiraglia della modesta Marina filippina, una fregata donata anch’essa dagli States: una solenne affermazione dell’impegno degli Usa alla difesa militare delle Filippine (che arriva dopo quella dell’anno scorso a Tokyo per la difesa delle isole Senkaku, controllate dal Giappone e rivendicate da Pechino). Il che non era poi scontato: dopotutto, l’intesa decennale di cooperazione militare firmata l’anno scorso resta costituzionalmente controversa nella stessa Manila, che aveva cacciato da Subic Bay gli americani un quarto di secolo fa.
I tempi cambiano, tanto che nel pre-vertice i due Paesi più ai ferri corti con la Cina nel Mar Cinese Meridionale, Filippine e Vietnam, hanno annunciato una “partnership strategica” e concordato di rafforzare la loro cooperazione marittima. E il Giappone di Shinzo Abe sta promettendo aiuti a questo scopo a entrambi.
L’unico punto su cui Obama ha quasi evocato un “G-2” è stato nel discorso sui cambiamenti climatici, in cui ha citato la leadership dei due principali inquinatori del pianeta, Usa e Cina, come riferimento al quale associarsi per far sì che la Conferenza di Parigi abbia successo.
Un’altra botta per Pechino è stato l’emergere della portata strategica della Trans-Pacific Partnership, i cui 12 recenti firmatari (tutti membri dell’Apec) si sono riuniti a parte e hanno emesso un comunicato in cui la si esalta come «modello» per espandere le relazioni economiche. Il che suona in netto contrasto con quando affermato ieri a Manila dal presidente cinese Xi Jinping, che ha parlato del «rischio frammentazione» legato al proliferare di Free Trade Agreements, rilanciando l’idea del FTAAP, un accordo di libero scambio (necessariamente più blando) per tutta l’Apec di cui si parla invano dal 2006. Per Obama, invece, la TPP (che esclude la Cina) è «al cuore della nostra visione comune per il futuro di questa dinamica regione». E ha detto di sperare che il Congresso la ratifichi prima dello scadere del suo mandato. Ma vari senatori repubblicani hanno già sottolineato che il presidente non farà in tempo a ottenere la ratifica.