domenica 15 novembre 2015

Il Sole 15.11.15
Il grande «vuoto» dei partiti sulle questioni internazionali
di Lina Palmerini


Gli attentati di Parigi visti da qui svelano un grande vuoto dei partiti italiani e una grande fragilità del nostro sistema: il semi-analfabetismo sulla politica estera. Dalla Lega ai 5 Stelle, ora anche Forza Italia ma in parte anche nel Pd, hanno ridotto il settore degli Esteri al rango di propaganda affidata a politici con curriculum e una formazione culturale assai poco credibili. Forse vale la pena ricordare la superficialità con cui Matteo Salvini prepara un viaggio in Israele dopo aver ospitato nelle sue manifestazioni Casa Pound e aver flirtato con loro e – dunque - gli viene negato il visto per Tel Aviv. E vale la pena ricordare anche la facilità con cui il Movimento 5 Stelle era quasi arrivato a giustificare - con Alessandro Di Battista - la violenza dei terroristi salvo poi precisare che non si riferiva all’Isis ma ad Hamas. Lapsus o confusione mentale, sta di fatto che l’impressione è che ai partiti manchino le coordinate culturali per affrontare temi complessi come le questioni internazionali.
Temi che hanno una rilevanza prioritaria per la sicurezza del Paese - come si vede da quello che è accaduto in Francia – ma che siamo ormai abituati a sentirli declinati come polemica di giornata. Una banalizzazione delle grandi scelte strategiche fatta a uso e consumo di un cortile interno, di un provincialismo povero di visione ma soprattutto di soluzioni. Basta guardare quello che è accaduto sull’Europa e sull’euro qualche mese fa quando qualcuno cercava di cancellare anni di storia con un referendum mentre altri come Grillo o Fassina facevano un viaggio – a vuoto – per sostenere lo strappo di Tsipras che non c’è stato. Pessima cultura e memoria corta. La stessa che sentiamo in queste ore sui fatti drammatici di Parigi. Tutto diventa una rincorsa allo slogan facile: fuori gli immigrati, chiudere le frontiere, combattere l’Isis. Frasi vuote che non sono soluzioni.
Sono improvvisazioni, scatti di umore, più facilmente incitazione alla rabbia come avviene sull’immigrazione dove si sollecita la chiusura di frontiere che – come si è visto – serve a ben poco. E pochi che sollevano il vero tema di scelte geopolitiche cruciali anche nella diffusione del terrorismo come sono quelle sulla Siria, il ruolo dell’Iran e le relazioni con l’Occidente, le relazioni Usa-Russia. Nessun politico si avventura fin lì, sono pochissimi gli esponenti dei partiti da cui si riesca a sentire un discorso articolato, tutto viene tradotto per consumare una rissa nel recinto di casa.
Tutto viene delegato agli esperti, ai docenti: di nuovo una grande delega della politica a chi non fa politica di mestiere. È anche questo impoverimento culturale e formativo a colpire perché ormai chi fa di professione il parlamentare o il dirigente di partito sembra non attrezzato culturalmente a dare risposte. Si è passati dalla stagione degli imprenditori a quella dei magistrati poi i professori e ora ci sono i prefetti. Le forze politiche non sono più in grado di esprimere competenze ma solo propaganda. Ma ora che il terrorismo diventa un punto nevralgico del consenso elettorale, come il taglio delle tasse o forse più, c’è la speranza che le questioni internazionali vengano rimesse dai partiti nel livello giusto. Come era nella Prima Repubblica in cui gli Esteri erano una materia nobile per politici di rango.