il manifesto 24.11.15
Non c’è più l’articolo 18, ma la ripresa non si è vista
L'opinione. Tra pochi giorni il Jobs Act compie nove mesi. Ma siamo sicuri che alle imprese sia servita così tanto la cancellazione della giusta causa?
di Stefano Imbruglia
«L’articolo 18 è la zavorra che impedisce alle aziende italiane di crescere, creare sviluppo e occupazione e conquistare nuovi mercati»; questa cantilena, declinata in vare tonalità, l’abbiamo sentita intonare da politici, esponenti delle associazioni imprenditoriali, editorialisti “salottieri”, imprenditori ed economisti da talk show.
Sentendo quelle frasi, l’ascoltatore-lettore immaginava migliaia di imprenditori nelle loro piccole aziende di 15 dipendenti, passeggiare nervosamente, fumare decine di sigarette e maledire i politici che li tenevano incatenati non abrogando l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Un’abolizione che avrebbe permesso alle imprese italiane di assumere nuovi lavoratori, crescere, sconfiggere il nanismo delle aziende e partire alla conquista del mondo.
Da diversi mesi l’articolo 18 non esiste più per i neoassunti. Ci sono invece i generosi incentivi — elargiti senza alcun vincolo — che permettono alle aziende di risparmiare sulle assunzioni, guadagnandoci nel caso decidessero di licenziare il neoassunto alla fine dei tre anni . E c’è anche un inizio di ripresa economica a riaccendere la speranza. Ci sarebbero, insomma, le condizioni per un sostanzioso aumento delle assunzioni. Invece, di nuovi posti di lavoro se ne registrano pochini.
Perché quindi non assistiamo a un boom di assunzioni?
La risposta è semplice: l’articolo 18 non era il problema delle imprese. Per comprenderlo, sarebbe bastato parlare con gli imprenditori; quelli che tutte le mattine vanno nelle loro aziende o sono in giro per il mondo a “vendere” i loro prodotti ; gente che solo con tanta buona volontà e sacrificio trova il tempo per parlare, collegandosi telefonicamente chissà da quale parte del mondo, con i giornalisti e scoprire che dell’articolo 18, a loro, non importava niente e che i loro problemi erano ( sono) altri.
Problemi sicuramente di scarso appeal mediatico, difficili da trasformare in slogan, inadatti a creare un capro espiatorio da dare in pasto all’opinione pubblica.
L’insegnamento che dovremmo trarre dal flop dell’abolizione dell’articolo18 è che non esistono riforme miracolose, da propagandare sui media, che possano far ripartire il Paese. Forse un ritorno alla “politica del cacciavite” gioverebbe di più alle imprese. Servirebbe soprattutto dare alle imprese un quadro certo nel quale muoversi, senza cambiare le regole a ogni cambio di governo.
Le opinioni che esprimo qui sono il frutto di conversazioni sui problemi dell’impresa, realizzate tra dal 2008 al 2014, con circa 400 imprenditori di tutte le regioni d’Italia e operanti in diversi settori, trasmesse da Radio Radicale.
Anche le associazioni imprenditoriali dovrebbero smettere di accusare sempre gli altri e fare un po’ di autocritica.
Potrebbero iniziare a chiedersi perché pur operando tutte con le stesse regole, talvolta lavorando anche nello stesso settore e a pochi chilometri di distanza tra loro, esistono realtà imprenditoriali floride e altre invece che sono in crisi.
Forse nelle risposte che riusciranno a darsi ci potrebbe essere la via della ripartenza.