martedì 24 novembre 2015

il manifesto 24.11.15
Povertà, deprivazione, esclusione: ritratto sgomento dell’Italia nel 2014
Istat. Uno su quattro a rischio povertà: il 28% dei residenti. Il presidente dell’Inps Boeri: «Se trovassimo le risorse guarderei con favore a un reddito minimo senza alcun requisito anagrafico»
di Roberto Ciccarelli


ROMA Non c’è tregua per chi vive di annunci sulla crescita, mentre l’ottimismo non riduce le diseguaglianze galoppanti. In Italia la povertà non cala, oltre una persona su quattro, il 28,3% della popolazione, era a rischio povertà o esclusione sociale nel 2014. Il report dell’Istat sul reddito e le condizioni di vita degli italiani conferma un dato stabile nella crisi: il 19,4% è a rischio povertà, l’11,6% vive in famiglie gravemente deprivate e il 12,1% in famiglie a bassa intensità lavorativa. Il dato complessivo (28,3%) è supaeriore di quattro punti percentuali rispetto alla media dell’Unione Europea: il 24,4%. La povertà in Italia è inferiore solo alla Romania (40,2%), alla Bulgaria (40,1%), alla Grecia (36,0%), alla Lettonia (32,7%) e all’Ungheria (31,1%) ed è superato di poco da Spagna (29,2%), Croazia e Portogallo.
Rispetto al 2013 l’indicatore del rischio povertà o esclusione sociale è rimasto stabile. Per il secondo anno consecutivo diminuiscono le persone gravemente deprivate (dal 12,3% del 2013 all’11,6% del 2014, il minimo dal 2011), ma l’istituto nazionale di statistica sostiene che la diminuzione è stata compensata dall’aumento della quota di chi vive in famiglie a bassa intensità lavorativa (dall’11,3% al 12,1%). In altre parole di chi non può permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni (dal 13,9% al 12,6%), una settimana di ferie all’anno lontano da casa (dal 51,0% al 49,5%), una spesa imprevista da 800 euro (dal 40,2% al 38,8%) e aumenta la quota di chi vive di lavoro povero. Il lavoro — quando esiste — è scarsamente produttivo e, soprattutto, non migliora affatto la condizione sociale ed economica dei nuovi poveri.
Le famiglie dove componenti tra i 18 e i 59 anni hanno lavorato meno di un quinto del tempo salgono infatti dall’11,3% del 2013 al 12,1% nel 2014. L’aumento del lavoro povero a bassa intensità produttiva è una realtà che ha interessato nel 2013–4 le famiglie meridionali: l’Istat stima l’aumento dal 18,9% al 20,9%. Si tratta di famiglie numerose, coppie con figli (dall’8,3% al 9,7%) e figli minori (dal 7,5% all’8,9%); famiglie con membri aggregati (dal 17,8% al 20,5%). Il Mezzogiorno è un paese a parte. Al Sud, infatti, il rischio «povertà-esclusione sociale» è calato leggermente al 46,4% del 2014 dal 48% del 2013. Ma la distanza con il Nord e il Centro è abissale. Qui il rischio cala al 17,3% e al 22,8%. I valori sono praticamente doppi Inoltre il reddito mediano al Sud si attesta a un livello inferiore del 17% al dato nazionale: 20.188 euro l’anno (circa 1.682 euro al mese), mentre esiste una maggiore disuguaglianza perché l’indice di Gini si è attesta a 0,305.
I dati Istat sul rischio di povertà ed esclusione mostrano una situazione «estremamente allarmante», secondo Federconsumatori e Adusbef, che chiedono un piano straordinario per il lavoro. «Peggiora il dato di chi ha arretrati per il mutuo, l’affitto e le bollette, salendo al 14,3%, un record — afferma il segretario dell’Unione nazionale dei consumatori Massimiliano Dona — Il 49,5% non può permettersi di andare in ferie per una settimana, per quanto nel 2013 la percentuale fosse al 51%, vuol dire, comunque, che stiamo peggio rispetto al Dopoguerra, quando anche le famiglie di operai, in agosto, con la chiusura delle fabbriche, potevano tornare nel loro paese d’origine e passare le vacanze con i parenti».
«È necessario — ha sostenuto il capigruppo di Sinistra Italiana Arturo Scotto — introdurre la misura del reddito minimo. Una misura contro la povertà e contro la precarietà è oramai indispensabile per garantire una vita dignitosa a oltre 10 milioni di poveri». Il governo Renzi sta lavorando all’ipotesi, riduttiva, di un sussidio contro le povertà assolute, non un reddito di inclusione sociale o un vero reddito minimo — cioè una misura universalistica rivolta sia ai poveri che non lavorano sia ai lavoratori poveri. Questo dibattito si svolge in un’estrema penuria di risorse, spostate sul taglio delle tasse sulla prima casa, gli 80 euro per i dipendenti e altre misure per i consumi che non ripartono.
“Se esistessero — ha riconosciuto ieri il presidente dell’Inps Tito Boeri — guarderei con favore alla possibilità che il reddito minimo». Per il momento c’è solo la proposta di un sussidio per gli over 55 che hanno perso il lavoro da finanziare con il taglio delle pensioni medio-alte e i vitalizi. Proposta respinta dal governo.