venerdì 20 novembre 2015

il manifesto 20.11.15
Al mercato della paura
di Norma Rangeri


Vogliono farci vivere con la paura addosso. Vogliono condizionare la nostra vita quotidiana. Vogliono limitare la nostra libertà. Tutti siamo d’accordo su questo aspetto non secondario, anzi direi centrale, degli effetti del terrorismo stragista.
Chi mette bombe allo stadio, chi si fa esplodere in un bar, chi agisce come i cecchini nella sala di un concerto abbattendo ragazze e ragazzi uno dopo l’altro, questo intende dirci: vogliamo farvi vivere nel terrore e siamo capaci di colpirvi dove e quando vogliamo. Capire questo è fondamentale.
Ma il terrore passa, si diffonde e ci invade anche attraverso l’informazione. E di questo «effetto collaterale» sono certamente responsabili i mass-media, per il modo in cui scelgono di interpretare i fatti, i protagonisti, le circostanze, i contesti. Così se un aereo abbattuto dai terroristi scarica duecento vittime sul Sinai, grazie alla minore pressione mediatica, resta appena impresso nella memoria.
Se invece si cerca la bomba allo stadio di Hannover proprio l’allarme diramato dalle televisioni è massimo e tale resta anche sulle prime pagine dei giornali, il giorno dopo quando a venire rappresentato non è quel che è successo ma quel che sarebbe potuto accadere.
La paura, lo sappiamo, è una merce preziosa sul mercato politico. Lo abbiamo imparato, noi italiani, nella lunga stagione del terrorismo, sia quello delle bombe nelle piazze, nelle stazioni, sui treni, sia quello dei brigatisti che uccidevano alla maniera dei killer. Ma se i media sono responsabili delle loro scelte (titolare «Bastardi islamici» è barbarie) dobbiamo anche chiederci se le fonti si comportano in modo responsabile.
Perché ieri il capo del governo francese, Manuel Valls ha annunciato il pericolo di un attacco con armi chimiche? Lo ha fatto in parlamento mentre chiedeva di prolungare e rafforzare lo stato di emergenza, come a voler tacitare qualunque opposizione alla richiesta di indossare l’elmetto tricolore.
Ma si può, per ottenere un consenso politico alle misure eccezionali, alle leggi speciali, al cambiamento della Costituzione, arrivare al punto di buttare sul piatto del consenso l’arma chimica e batteriologica? «C’è il rischio che i terroristi le usino», ha ammonito Valls. «Non dobbiamo escludere niente, lo dico con tutte le precauzioni necessarie». E se non avesse usato le «precauzioni» forse ci avrebbe potuto comunicare «il rischio» di qualche piccola bomba atomica nascosta nella esplosiva banlieue?
Forse non sbaglia il papa quando dice che «questo mondo vive per fare la guerra, con il cinismo di dire di non farla», né va lontano dal vero quando afferma che «la guerra è la scelta per le ricchezze: facciamo armi così l’economia si bilancia un po’».
Lui parla dal pulpito e dunque pronuncia omelie e lancia anatemi come quel «maledetti, sono maledetti» risuonato durante la messa alla Domus di Santa Marta.
Sta a noi laici reagire, con altrettanta forza, contro chi, mentre dice di combattere i terroristi, li usa per alimentare la guerra e restringere le libertà.
E lo faremo già sabato 21, nelle piazze di Roma, insieme alla Fiom, alle associazioni di base, alle numerose rappresentanze del mondo musulmano.