domenica 15 novembre 2015

Corriere La Lettura 15.1.15
L’ Antico Egitto è moderno: la reinvenzione delle religioni
Dei che nascono e che muoiono, nuovi culti, persecuzionu e convivenze
Tre mostre esplorano uno dei periodi storici più affacinanti
di Livia Capponi


La mostra Ancient Egypt Transformed. The Middle Kingdom al Metropolitan Museum di New York (fino al 24 gennaio) espone numerosi oggetti del Medio Regno (XI-XIII dinastia, 2030-1650 a.C.), uno dei momenti più felici della storia egizia, sia dal punto di vista dell’economia che della produzione artistica. Dopo una lunga crisi, il Paese è riunificato dal faraone Montuhotep, e alla vecchia aristocrazia dell’Antico Regno subentra una «borghesia» che rinnova alle radici l’ideologia del potere. Anche la concezione dell’aldilà cambia, ed è quasi democratizzata: la sopravvivenza dell’anima dopo la morte è ora vista come destino comune a tutti gli uomini, non più un privilegio di pochi. Dal punto di vista artistico, i sovrani cercano il consenso dell’opinione pubblica sottolineando la continuità con il terzo millennio, con un’intensa produzione letteraria e artistica ispirata alle glorie dell’Antico Regno, l’«età classica» dell’Antico Egitto.
La mostra Egitto. Splendore Millenario , al Museo Civico Archeologico di Bologna fino al 17 luglio, fonde la collezione egizia del Rijksmuseum van Oudheden di Leiden, più di 500 reperti dal periodo predinastico all’età romana, e quella di Bologna, fra le prime dieci al mondo, oltre a prestiti dal Museo Egizio di Torino (secondo solo a quello del Cairo) e da Firenze in un percorso di 1.700 metri quadrati, un’operazione senza precedenti nel panorama italiano e internazionale.
Fra i capolavori giunti da Leiden spicca il gruppo statuario in calcare di Maya e Merit, della XVIII dinastia del periodo detto Nuovo Regno, regni di Tutankhamon (1333-1323 a.C.) e Horemheb (1319-1292 a.C.). Le statue rappresentano il ka , o principio vitale dei coniugi, immortalati seduti, nei loro vestiti migliori, con elaborate parrucche secondo la moda, nell’atto di ricevere offerte. Maya era il tesoriere di Tutankhamon, il sovrintendente alla necropoli faraonica e il direttore dei lavori alla tomba di Tutankhamon; Merit una cantrice del dio Amon. La loro tomba a Saqqara, presso l’antica capitale Menfi (non lontano dal Cairo) fu localizzata e parzialmente scavata nel 1843 da Karl Richard Lepsius, poi venne riportata definitivamente alla luce nel 1987 da una missione olandese e britannica, che scoprì la camera funeraria 18 metri sottoterra.
L’esposizione getta luce sull’epoca della rivoluzione religiosa di Akhenaton (1350-1333 a.C.), faraone che abolì il culto del dio Amon e i templi tradizionali per venerare il disco solare Aton, nella nuova capitale Amarna. Il faraone si poneva come unico intermediario fra il dio e il popolo, creando un culto anche di se stesso. In seguito si ritornò di nuovo al culto di Amon, come segnala il nome stesso di Tutankhamon, che contiene il nome del dio. Maya contribuì a ristabilire i culti tradizionali e il vecchio stile per le statue e i santuari di tutto l’Egitto, mentre il suo collega, il generale Horemheb, pacificava le rivolte ai confini dell’impero.
La tomba di Horemheb è stata ricostruita come un grande puzzle , mettendo insieme i rilievi da Bologna, Leiden e Firenze. Qui il generale è ritratto non solo nell’atto di sconfiggere i nemici storici, nubiani e siriaci, ma anche al lavoro nei campi dell’oltretomba per garantirsi sopravvivenza eterna, come prescritto dal capitolo 110 del Libro dei Morti , o seduto davanti a una tavola stracolma di offerte. In un secondo momento, quando Horemheb diventò faraone, il suo sepolcro fu spostato nella Valle dei Re a Tebe (Luxor).
La storia delle scoperte e del ruolo dell’Italia nella nascita dell’Egittologia è altrettanto interessante, e messa nel giusto risalto. La maggior parte dei rilievi esposti appartiene infatti alla collezione che il pittore bolognese Pelagio Palagi acquista nel 1832-1832 dal triestino Giuseppe Nizzoli, emissario del consolato d’Austria in Egitto dal 1818 al 1828, e, come altri rappresentanti dei corpi diplomatici di stanza in Egitto, a caccia di oggetti di ogni tipo da poter rivendere sul mercato antiquario. Nizzoli e la moglie Amalia scoprono alcuni dei rilievi dalla necropoli del Nuovo Regno di Saqqara presso l’antica capitale Menfi, a sud della famosa piramide a gradoni di Djoser, entrando in competizione con gli emissari di altre nazioni, tra i quali il greco Giovanni d’Anastasi, a cui il Museo di Leiden deve moltissimi reperti. In questo momento epocale, i collezionisti italiani seppero affrancarsi dalla riduttiva concezione di Johann Joachim Winckelmann, padre della archeologia classica, che considerava le antichità egizie soltanto una preparazione alla «vera» arte greca.
I sarcofagi e i corredi funerari in mostra c’istruiscono sulla concezione egizia della vita dopo la morte. La tomba era un luogo pieno di provviste di cibo, vestiti, biancheria, grandi statue lignee che diventavano l’incarnazione del defunto, modellini che riproducevano il suo mestiere nei dettagli. Uguale trattamento per le donne, con l’unica differenza della presenza nel corredo di specchi, cosmetici e gioielli. Spesso li accompagnava un lungo rotolo di papiro contenente il Libro dei Morti , un manuale di istruzioni per il viaggio nell’aldilà. Il primo step era la pesatura dell’anima (con sede nel cuore), posta sul piatto di una bilancia, a confronto con la piuma di Maat, dea della giustizia. Se l’anima fosse stata più pesante della piuma, un mostro in forma di leone-coccodrillo-ippopotamo l’avrebbe divorata all’istante.
L’intramontabile spiritualità dell’Egitto è la protagonista della mostra al British Museum di Londra Egypt. Faith after the Pharaohs (fino al 7 febbraio), un viaggio attraverso le religioni che hanno toccato questo territorio in dodici secoli, dalla conquista romana nel 30 a.C. alla fine del periodo fatimide (1171 d.C.), raccontando una ricca storia di influenze reciproche e di coesistenza pacifica, segnata però anche da guerre, persecuzioni, distruzioni di immagini e templi. L’Egitto è sempre stato protagonista di rivoluzioni religiose, a partire dall’invenzione di un dio, Serapide, con cui i Tolomei integrarono gli dèi egizi nel pantheon greco, alla traduzione alessandrina della Bibbia in greco, che divenne il testo cardine degli Ebrei della diaspora mediterranea e poi dei cristiani, come c’illustra il prezioso Codice Sinaitico (IV secolo) dal monastero di Santa Caterina sul Sinai.
I papiri egizi documentano in modo diretto e spesso drammatico le tensioni fra ebrei e greci, le persecuzioni contro i cristiani, ma anche le molteplici eresie e la nascita della Chiesa cristiana copta, che trovò terreno fertile nella cultura egiziana. I papiri di Nag Hammadi, una biblioteca di testi gnostici scritti in copto, scoperti in una giara nel 1945, sono emblematici di questa complessità. La scoperta di migliaia di documenti della cosiddetta Geniza del Cairo, ammassati in un ripostiglio della sinagoga di al-Fustat al Cairo, ha aperto una miniera di informazioni sulla storia economica e sociale dell’Egitto medievale.
In tutta la sua lunga storia, dunque, l’Egitto è sempre stato una terra multiculturale e multietnica. I re Tolomei, che regnarono dopo la conquista di Alessandro Magno (305-30 a.C.) e gli imperatori romani, dall’annessione dell’Egitto come provincia dell’impero sotto Augusto, fino alla conquista araba nel 640 d.C., si dotarono di una doppia immagine: greca, secondo i canoni della scultura ellenistica, ed egizia, come legittimi successori dei faraoni.
La burocrazia statale era spesso bilingue, il diritto romano si era sovrapposto ai sistemi legali ellenistico e locale. Gli imperatori costruirono templi e monumenti egizi in tutto l’Egitto e anche in Italia, come il celebre Iseo Campense sul Campo Marzio a Roma. Gli intellettuali greci e romani, da Seneca a Plutarco all’imperatore Adriano, leggevano i testi egizi in traduzione greca e si appassionavano allo studio dei geroglifici, visti (fino al Rinascimento) come la chiave di una filosofia mistica e segreta. L’astrologia diventò una vera ossessione per gli imperatori, e il loro oroscopo fu a lungo usato come strumento di propaganda politica. Questa «egittomania» ha lasciato tracce durature, come si vede ancora oggi girando per le strade e le piazze di Roma, l’unica città al mondo con quattordici obelischi egizi, simbolo di potere assoluto.