Corriere 9.11.15
Duello tra ex compagni a sinistra. La minoranza Pd: chi lascia sbaglia.
Fassina: noi alternativi ai dem nelle città. Damiano: se si va in ordine sparso si rischia
di Monica Guerzoni
ROMA La destra si ricompatta, la sinistra si divide. Un rischio che non sfugge a Stefano Fassina, tanto che il fondatore di Sinistra italiana avverte i compagni di strada: «Il nostro principale avversario è la destra. Mi aspetto che, oltre a perseguire chi a Bologna è ricorso alla violenza, si perseguano con altrettanta determinazione i seguaci di Salvini che a Bologna hanno inneggiato al Duce e fatto il saluto romano davanti al sacrario dei partigiani».
Dovrebbe derivarne una spinta verso un centrosinistra unito, sia pure con il trattino. E invece la nuova opposizione si mostra determinata a non siglare alleanze con Matteo Renzi. «Sinistra italiana nasce come alternativa al Partito democratico», ribadisce Fassina. E sogna un risultato a due cifre: «Siamo ambiziosi, non puntiamo a occupare uno spazietto ai margini del Pd». Una posizione che preoccupa Cesare Damiano, il quale ritiene «illusorio» il sogno di Roberto Speranza di ricostruire una nuova unità con i fuoriusciti: «La possibilità di andare in ordine sparso nelle prossime tornate amministrative è sotto i nostri occhi e trascina con sé il rischio di una potenziale sconfitta».
Uno scenario che Fassina non sembra temere, contento com’è per i «tanti messaggi di adesione e sostegno» che racconta di aver ricevuto dopo il debutto. «Noi siamo per la felicità di tutti, non per la felicità solo dei più fortunati» risponde l’ex viceministro a Renzi, che ha criticato il «delirio onirico» di Sinistra italiana: «Quella del premier è la reazione di chi ha riposizionato il Pd verso gli interessi più forti».
Il governatore toscano Enrico Rossi chiede alla sinistra di «lottare unita» e il premier, in sintonia con Bersani, è convinto che a sinistra del Pd non ci sia spazio alcuno. Ma Fassina pensa il contrario: «Come si è visto al Quirino la domanda esiste, non è inventata da qualche rosicone che lascia il gruppo del Pd. In Italia ci sono tante persone che non intendono rassegnarsi all’assenza di una forza che si batte per il lavoro, la giustizia sociale, la democrazia costituzionale».
La mini-scissione ha lacerato la sinistra, incrinando solide amicizie. Dal palco del Quirino sono piovuti rimproveri e accuse all’ex segretario, ma Fassina non sembra pentito: «Non abbiamo attaccato Bersani, abbiamo ribadito che il mutamento del Pd è irreversibile. E siamo stati invece colpiti dalle parole così sprezzanti di Bersani nei nostri confronti, alla vigilia dell’assemblea».
E se Alfredo D’Attorre pensa che Bersani sarà l’ultimo a lasciare il tetto del Nazareno, Fassina ricorda a chi sogna di riprendersi la «ditta» che Renzi sarà segretario anche al prossimo giro: «Fo rse lo hanno dimenticato, ma lo statuto del Pd prevede che il congresso si concluda con le primarie per il candidato premier... E mi sembra complicato che, a pochi mesi dalle elezioni, si punti ad azzoppare il premier uscente dopo averlo sostenuto».
Franco Monaco, teorico della scissione consensuale, incita a non esasperare il conflitto: «È più saggio adoperarsi per un’alleanza su un programma negoziato. Per battere la destra e il populismo serve un centrosinistra riformatore». Eppure Fassina conferma che «nelle principali città non ci sono le condizioni per alleanze con il Pd». A Torino non appoggerete Fassino? «No, è stato l’attuatore dei tagli attraverso i Comuni». E a Roma? Lei si candida? «Vedremo... Il Pd ha chiuso l’esperienza di Marino con una ferita grave alla democrazia». No anche a Milano, dove Fassina respinge la candidatura di Sala perché «non consente di salvare l’eredità di Pisapia».