lunedì 30 novembre 2015

Corriere 30.11.15
Annie Ernaux
«Le leggi speciali minacciano la libertà Stringersi al tricolore non risolverà nulla»
di Stefano Montefiori


PARIGI La Resistenza, l’Algeria, De Gaulle, il Maggio francese ma anche la pillola e «Ultimo tango a Parigi», e la giostra del parco termale di Saint-Honoré-les-Bains e lo sguardo della gatta al momento della puntura finale, e anche la rivolta nelle banlieue e l’ascesa del Front National. Nel molto amato romanzo «Gli Anni» (L’Orma Editore), Annie Ernaux racconta in prima persona plurale, con «sensibilità collettiva», la sua storia e quella della Francia. Una ribellione della scrittrice oggi 75enne contro l’oblio, una autobiografia impersonale per «salvare qualcosa del tempo in cui non saremo mai più».
Come scriverebbe Annie Ernaux le pagine che mancano al suo libro, quelle sugli attentati di Parigi e lo stato di emergenza?
«C’è il sentimento di essere passati in un altro mondo, qualcosa di sinistro. Sono pessimista riguardo ai prossimi mesi perché, oltre allo choc degli eventi, quello che si sta preparando ora non mi pare promettente».
La reazione del governo francese?
«Non capisco come si possa dichiarare una guerra convenzionale ai terroristi. E sento toni da crociata che ricordano Bush dopo l’11 settembre».
Che cosa pensa dello stato di emergenza?
«Può apparire necessario, io non ero affatto contraria subito dopo gli attentati ma poi è stato prolungato per tre mesi e forse sarà prorogato ancora. È una minaccia contro la libertà di tutti i cittadini e può accrescere la divisione della società. Sono stati messi in residenza obbligata 24 ecologisti che non hanno niente a che fare, evidentemente, con il terrorismo. E la Francia ha notificato al Consiglio d’Europa la possibile deroga ai diritti dell’uomo».
È delusa dalla patria dei diritti dell’uomo?
«Esiste l’idea di una Francia generosa e egalitaria, ma questi sono slogan. L’avvenire è preoccupante».
Che cosa teme di più?
«Altri attentati, ovviamente. Comunque non vivo nella paura, abito fuori Parigi e prendo il metro come sempre, ma i vagoni adesso sono mezzi vuoti. Soprattutto, temo la separazione civile. Sempre di più la gente guarda storto chi non è bianco. C’è un brutto clima, gli attentati hanno reso possibile la restrizione delle libertà e l’arbitrio nei controlli».
Che cosa pensa degli incidenti in place de la République?
«Quel che è accaduto oggi conferma i miei presentimenti. Il governo pratica l’intimidazione e quella che Pierre Bourdieu chiamava giustamente la “violenza di Stato” nei confronti di cittadini che hanno solamente il torto di manifestare. I cortei sono vietati ma le attività a fini di lucro, per esempio il celebre mercatino di Natale a Strasburgo, sono autorizzate senza alcun problema».
E il nuovo patriottismo francese?
«Mi pare una strumentalizzazione. Si può pure mettere una bandiera alla finestra, non costa niente (io comunque non l’ho fatto), ma non è attaccandosi ai simboli che si risolvono i problemi. Abbiamo sentito dire dal presidente che non dobbiamo cedere al terrore e ci siamo raccolti intorno al tricolore, ma poi i negozi sono vuoti e la gente ha paura. La forma che ha preso il nostro lutto mi mette a disagio. Di colpo il mondo è entrato nelle nostre vite, e reagiamo con un lirismo funebre e una politica che ci porta decenni indietro. Visto che siamo in guerra, come ci ripetono di continuo, possiamo permetterci tutto: mi ricorda un’epoca poco gloriosa. Il mio libro arriva fino al 2007 ma tutti i problemi — dalle banlieue al Front National — c’erano già. La Francia del 2015 è simile a quella del 2007, in peggio».