lunedì 30 novembre 2015

La Stampa 30.11.15
Parigi
La rabbia e la solidarietà
Lo stato di emergenza incompatibile con il desiderio di tornare alla normalità
di Cesare Martinetti


La compostezza repubblicana di Parigi è rimasta sigillata nel grande cortile degli Invalidi, accanto alla tomba di Napoleone, dove venerdì Hollande e l’intera République hanno reso omaggio alle vittime del 13 novembre.
Ma ieri, alla prima verifica della piazza, si è visto che ben altri sentimenti attraversano il sistema nervoso della città. Scontri tra manifestanti e police, fino al sacrilego assalto all’altare laico di place della République, dove, sotto la statua di Marianna, da Charlie Hebdo a ieri, è stata raccolta la memoria dei caduti. Persino i lumini accesi sono diventati proiettili della battaglia dei gruppi di incappucciati casseurs mentre altri manifestanti si sono subito schierati a cordone in difesa del monumento.
Due Parigi si sono così trovate di fronte, laddove l’11 gennaio era parso di vedere una sola Parigi e una sola Francia compatta, commossa, orgogliosa nella manifestazione dei due milioni di persone che accettavano la sfida portata dai fratelli Kouachi ai vignettisti di Charlie e dal solitario killer Koulibaly alla comunità ebraica simboleggiata nel supermercato di prodotti kasher della Porte de Vincennes. Ingigantire il numero e il senso degli scalmanati di République sarebbe sbagliato; ma anche negare l’evidenza delle tante fratture in cui si sta decomponendo l’opinione pubblica.
Una città minacciata
Ed è questo, intanto, il primo inevitabile effetto dell’ultimo venerdì di sangue dove i terroristi suicidi che si richiamano allo stato islamico del califfo di Raqqa hanno colpito a raffica, indiscriminatamente. Non una pattuglia di caricaturisti, non una comunità nel mirino, ma l’intera città che da allora si sente sotto tiro e simboleggiata dalla formula «génération Bataclan» caduta sotto i colpi dei kalashnikov e nella quale si riconosce un intero ceto sociale e culturale. Di quella generazione giovane, colta, cosmopolita era una rappresentante emblematica l’unica vittima italiana, la veneziana Valeria Solesin, morta a 28 anni abbracciata al suo ragazzo.
La risposta dello Stato è stata ferma, non solo nella retorica. Mentre il presidente François Hollande si improvvisava globe trotter tra la Casa Bianca e il Cremlino per mettere insieme una coalizione politico-militare anti Isis, all’interno del Paese lo stato d’emergenza è stato esteso per tre mesi (poi rinnovabili) come non accadeva dagli anni Cinquanta in piena guerra d’Algeria. E quindi sostanziale divieto di manifestazioni politiche e poteri estesi ai prefetti sulle libertà personali con la possibilità di «assegnare la residenza» (cioè l’obbligo di non uscire di casa) a persone sulle quali esistono «serie ragioni di pensare che possano costituire una minaccia».
Se l’esito diplomatico della missione di Hollande è tuttora incerto, l’effetto di questa specie di stato di polizia è invece sicuramente contraddittorio. Assomiglia tanto alla proverbiale operazione di chiudere la stalla quando i buoi sono scappati.
Servizi sotto accusa
A torto o a ragione i servizi di sicurezza francesi sono sotto accusa e non sarà lo stato d’emergenza a recuperare quel senso di insicurezza diffuso. In più bisogna tener conto che in Francia c’è una quota di opinione pubblica estremamente sensibile al tema delle libertà pubbliche. Le manifestazioni di ieri non erano indette da pericolosi estremisti, ma da molti e moderati progressisti che contestavano la doppiezza politica del governo: da una lato si invita la gente a vivere normalmente, stadi e mercatini di Natale sono regolarmente aperti; dall’altro si vietano manifestazioni come quella di ieri in cui c’era anche la contestazione al summit mondiale per l’ambiente che si è aperto nel pomeriggio a Le Bourget, nella banlieue parigina. Si è così potuto far rivivere il vecchio slogan di Victor Hugo contro il colpo di Stato di Luigi Bonaparte nel 1851: police partout, justice nulle part (la polizia è ovunque, la giustizia in nessun luogo).
Ma per capire bene cosa sta succedendo in Francia bisogna tenere contro che domenica prossima si vota per le regionali. È un voto nazionale, con un sistema misto proporzionale e quindi non con la ghigliottina dell’uninominale maggioritario che taglia gli estremi. In altre parole Marine Le Pen potrebbe portare per la prima volta il Front National al governo in qualche regione. E nella Francia profonda – come ha ben raccontato nel suo reportage in Piccardia su La Stampa di ieri Leonardo Martinelli – l’esito sembra scontato. La Francia politica sembra inarrestabilmente scivolare verso l’estrema destra. E paradossalmente l’inseguimento del governo e della destra repubblicana agli slogan del Front, non hanno indebolito Madame Le Pen, al contrario ne hanno legittimato il programma.