domenica 29 novembre 2015

Corriere 29.11.15
La matrice religiosa e le ragioni politiche
di Giuseppe Galasso


Terrorismo o guerra? La questione non è di parole. Altrimenti sarebbe facile osservare che il terrorismo è, a suo modo, una guerra, e che la guerra pratica anch’essa, a suo modo, il terrore. Ma nell’alternativa fra guerra e terrorismo c’è di mezzo, a dirimere la questione, la politica. Non è un caso che il terrorismo sia nato come strumento soprattutto di lotta sociale o di protesta politica all’interno di determinati spazi politico-istituzionali, e che come tale abbia assunto le forme conosciute dalla metà del Novecento in poi. La differenza di fine dà luogo certamente a differenze notevoli di merito, anche se il metodo ne appare identico. Il terrorismo irlandese per l’indipendenza di quel paese è altro dal terrorismo della Raf (Rote Armee Fraktion) in Germania o delle Brigate Rosse in Italia; il terrorismo basco è altro dai vari terrorismi della cosiddetta «strategia della tensione». Ma alla fine il metodo finisce col contare più dello scopo.
La guerra è, invece, da sempre un conflitto armato che decide delle questioni di potenza e di interesse tra opposte entità politiche. Quando la lotta sociale o ogni altro conflitto assumono i caratteri della guerra, vuol dire che le parti in causa si sono trasformate in entità politiche del tipo che comunemente diciamo Stati, quale che sia la forma che tali entità assumono. Null’altro oltre la potenza e l’interesse determina la guerra? Non c’è anche, ad esempio, l’ideologia, la religione, la classe, la razza? Certo, può esservi. La guerra comporta sempre una dimensione ideologica, che può essere religiosa, ma poi, alla resa dei conti, anche questi i conflitti si risolvono in questioni di potenza o di interesse.
La guerra si può, quindi, anche definire un confronto più generale, un confronto tendenzialmente totale, anche quando nasce come locale o settoriale e viene mantenuto come tale; ed è nota, infatti, l’estrema facilità con la quale conflitti ritenuti parziali e locali si sono trasformati in conflitti generali. È il caso della guerra che l’Isis ha iniziato con l’Occidente. Qui c’entra ben poco l’Islam. Qui si tratta dell’Isis, così come l’11 settembre 2001 si trattava non dell’Islam, ma di Al Qaeda. Ossia di potenze, sui generis, che combattono una guerra di potenza contro l’Occidente. E, come si vede, anche partendo di distinzioni che possono apparire speciose, o superflue, o inutili, come quella fra guerra e terrorismo, si può poi giungere a qualche conclusione di innegabile pregnanza pratica.
Dopo di che parliamo pure dell’Europa ipocrita, colpevole o di qualsiasi altra referenza, ma non dimentichiamo la realtà del conflitto in atto. E poiché anche le guerre non sono affatto sempre le stesse, e bisogna guardarsi dal combattere la guerra di oggi coi criteri dell’ultima guerra di ieri, ne nasce anche la difficoltà, oggi, di individuare strategie e tattiche idonee alle nuove circostanze. Quelle adottate contro Al Qaeda non sono state molto brillanti.