Corriere 29.11.15
Quel coro che guarisce
Dal Venezuela al Friuli il «canto con le mani» dei ragazzi disabili.
Il fondatore: quando Abbado lo ha visto si è messo a piangere
Per spiegare meglio la sua arte Naibeth, musicista venezuelana, si alza in piedi e comincia a muovere le mani in una danza che segue le note con due guantini bianchi. È la musica del gesto, terzo modo per interpretare le note, dopo voce e strumenti, con un linguaggio del corpo che spande nell’aria una diversa emotività e aggiunge alle note una nuova dimensione espressiva. Tanto più che il sistema inventato e messo a punto da Naibeth e da suo marito Johnny Gomez, è stato pensato per permettere di esprimersi nella lingua della musica anche a chi, per gli scherzi del destino, non dovrebbe riuscirci: i diversamente abili, i ragazzi non udenti, autistici, quelli chiusi in muri di mutismo o affetti da sindrome di Down. E sotto la loro guida sono nati, in tutto il Venezuela, i cori Manos Blancas.
«L’anima non conosce disabilità, non è sorda, cieca, non sta in sedia a rotelle» dicono all’unisono Naibeth e Johnny, che si sono conosciuti studiando musica. Così il loro metodo punta proprio a far esprimere tutti con la musica, anche quelli che la società altrimenti lascerebbe fuori: «Noi non dobbiamo correggere, dobbiamo farli felici». E fieramente raccontano che un paio di guanti bianchi sono esposti, fra lo spartito della Quinta sinfonia e il cappello di Ludwig van Beethoven, nel museo di Bonn dedicato al musicista «diversamente abile» più geniale di tutti, che dopo i trent’anni iniziò a non sentire più. E Michael Ladenburger, il presidente di Casa Beethoven, ha detto a Johnny che se Beethoven fosse vivo oggi comporrebbe musica per loro, i Manos Blancas.
In questi giorni Naibeth e Johnny sono in Italia, a San Vito al Tagliamento, per salutare gli amici del primo coro Manos Blancas italiano, nato sei anni fa sul modello di quelli che hanno formato nel loro Paese e che fanno parte di El Sistema, famosi cori e orchestre per ragazzi di strada di Antonio Abreu, da cui è uscito un talento come Gustavo Dudamel.
Galeotto fu per l’Italia il maestro Claudio Abbado che nell’amato Venezuela aveva scoperto questi cori e ne era rimasto incantato: «Gli ho visto scendere le lacrime mentre i ragazzi interpretavano» racconta Johnny. Abbado ne parlò con la sua amica Giannola Nonino, imprenditrice della grappa e anima di molte iniziative cultural-sociali, che subito decise di premiare il coro con il Premio Nonino, che da 40 anni scova talenti e specialità nel mondo.
Ma se da una parte non era facile far muovere un coro intero dal Venezuela, dall’altra era quasi impossibile premiare una cosa così speciale senza farla vedere e sentire. E allora Giannola decise di creare, lì per lì, uno di questi cori in Italia.
Con la sua scia di inestinguibile entusiasmo, e il sostegno dell’azienda, convinse Johnny e Naibeth a venire a insegnare, per due settimane, a un gruppo di docenti de La Nostra Famiglia di San Vito al Tagliamento, che fa attività formativa per i disabili. Oggi Paola Garofalo è la direttrice del coro e Rosanna Danelon e Claudia Bortolussi le coordinatrici: un team di pioniere che adesso sono chiamate in giro per l’Italia a formare nuovi cori.
Perché gli effetti educativi, su ragazzi e famiglie, sono dirompenti. «A me e a mia figlia ha cambiato la vita, mi ha aiutato a conoscerla» racconta Patrick, insegnante, papà ghanese di Daniela, 14 anni, non udente dalla nascita. «Il coro per la nostra famiglia è stato un padre e una madre di sostegno». Enrico, invece, ha cominciato a uscire da un mutismo elettivo; Simone, iperattivo, ora sparisce nella disciplina del coro; mentre Fabio, una severa tetraparesi spastica, toglie i guanti da solo: sembra poco? Casi individuali, forse con scarso valore statistico ma segno che a volte un piccolo slittamento di prospettiva — non più soli, ma insieme — può cambiare tutto.