martedì 24 novembre 2015

Corriere 24.11.15
Il segno di debolezza
Polemiche che segnalano le ambiguità del nuovismo
Le perplessità del premier sulle primarie sono un segno di debolezza della rivoluzione tentata nel partito
di Massimo Franco


Non che Antonio Bassolino o Ignazio Marino provochino brividi di rimpianto come sindaci rispettivamente di Napoli e di Roma. Per motivi diversi, hanno rappresentato esperienze controverse, per usare un eufemismo. La regola tesa a escludere la ricandidatura di ex amministratori locali, alla quale sta pensando il Partito democratico, appare però un pasticcio politico. Fa riaffiorare il fantasma delle norme ad personam , stavolta giocate contro qualcuno. E per paradosso, invece di coprire rischia di sottolineare il vuoto di classe dirigente e la confusione strategica che il partito di Matteo Renzi tende a mostrare.
È comprensibile accelerare e favorire un rinnovamento della nomenklatura, che continua a frustrare ogni intenzione del premier di plasmare un Pd a propria immagine e somiglianza. E si capisce anche la volontà di prevenire altri casi Marino o Vincenzo De Luca, il controverso presidente della Campania, emerso come candidato vittorioso per l’indecisione del vertice dei democratici. Ma surrogare ritardi e contraddizioni politiche con leggi decise quasi per reazione dà il senso di un partito a corto di idee; e capace di fermare la vecchia nomenklatura solo per via giuridica.
A ben vedere, infatti, il problema non è che Bassolino voglia ricandidarsi; o che Marino pensi ad una lista civica per il Campidoglio; o che in altre città ci siano esponenti del Pd pronti a presentarsi in polemica con Renzi. C’è da chiedersi piuttosto come sia possibile, dopo quasi due anni di governo «rivoluzionario», nel senso di radicalmente riformista, che alcuni personaggi del passato facciano ancora paura al Pd. Segnano una contraddizione vistosa, che si abbina al «caso per caso» sulle primarie di partito accarezzato a via del Nazareno: benché delle primarie Renzi sia il figlio legittimo.
È come se anche il presidente del Consiglio, una volta al potere, temesse sorprese da quelle che per anni il Pd ha raffigurato come un bagno di democrazia diretta. Gli avversari, e non solo, sospettano che il «caso per caso» significhi accettare i candidati in linea col premier; e ostacolare gli altri. Sarà difficile, per i democratici, sottrarsi all’accusa di gestire il voto di primavera come una questione interna; e di scaricare sulle istituzioni i problemi. «Sono d’accordo con Renzi: le regole non si cambiano, l’ha detto lui», ricorda caustico Bassolino.
Ma il «no» a «inaccettabili discriminazioni» arriva dallo stesso Umberto Ranieri, possibile candidato e avversario storico dell’ex sindaco. E il rifiuto di disciplinare le primarie promette di trasformarsi in un’epidemia di proteste, e in un nuovo strumento polemico della minoranza contro Renzi. Le «primarie decise a Roma» potrebbero diventare la parola d’ordine di cacicchi locali trasformati in eroi da un Pd vittima delle ambiguità del nuovismo. Per questo ora il Pd renziano frena: «È stato un test, non si andrà in fondo».