martedì 24 novembre 2015

Corriere 24.11.15
Laura Boldrini. Salvate dal lavoro
Paternità Mi fa tristezza vedere un uomo che prende solo un giorno di congedo quando nasce il figlio Signor presidente Se mi chiamano “signor presidente”, io non mi sento più stimata, mi arrabbio
L’appello della presidente della Camera Boldrini: l’occupazione femminile è un’arma antiviolenza, ma il Jobs act non sta aiutando le donne
intervista di Monica Guerzoni


Alla vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, Laura Boldrini lancia l’allarme: «Dalla crisi economica non si esce, se non rilanciando l’occupazione femminile». Per la presidente della Camera è priorità assoluta realizzare il dettato dell’articolo 3 della Costituzione, «il più bello di tutti», declinandolo al femminile: «Compito della Repubblica è rimuovere gli ostacoli che limitano dignità, libertà e uguaglianza della donna, impedendole di trovare il suo posto nella società».
Di ritorno dalla camera ardente di Valeria Solesin, la terza carica dello Stato aprirà domani il convegno «La ripresa è donna», nella Sala della Regina. E la scelta di dedicare l’incontro alla ricercatrice veneziana uccisa dai terroristi a Parigi, ha per lei un forte valore simbolico. «La sua eredità di donna consapevole che aveva fatto esperienze nel sociale è un esempio positivo per tante ragazze», riflette Boldrini citando passi dell’articolo Allez les filles, au travail , firmato nel 2013 dalla giovane dottoranda alla Sorbona: «Il 76% degli italiani ritiene che un bambino soffre quando la madre lavora fuori casa, mentre in Francia quel dato è al 41%... È un problema culturale, il nostro».
Cosa si può fare per accelerare il cammino verso la parità?
«Il Fmi dice che, se non rilanciamo l’occupazione femminile, l’Italia perde potenzialmente 15 punti di Pil. Una donna che lavora è più libera dalle violenze domestiche, perché indipendente e conomicamente e rispettata socialmente. In Italia solo il 46,8% delle donne lavora ed è una delle percentuali più basse in Europa, un grave svantaggio per il Paese. Vogliamo continuare a penalizzarle, o dar loro un ruolo sociale? Serve, tra le altre cose, una più equa distribuzione degli oneri familiari e quindi anche un congedo parentale più equilibrato tra i genitori».
La legge secondo lei non basta?
«La legge attuale concede agli uomini un congedo irrisorio e per di più sono pochissimi quelli che se ne avvalgono. Mi fa tristezza quando un uomo si vanta di aver preso un solo giorno di congedo per la nascita del figlio. Condividere le responsabilità fa bene al bambino, ai genitori e fa evolvere la società».
In concreto, lei cosa propone?
«Servono più servizi per l’infanzia e per gli anziani. Lo Stato non può pensare che le carenze del welfare si risolvano gravando sulle donne».
Il suo bilancio, a metà legislatura?
«Questo Parlamento, composto per il 30% da donne, ha approvato la convenzione di Istanbul, il decreto sul femminicidio e, da ultimo, alla Camera abbiamo anche istituito l’Intergruppo delle deputate per le Pari opportunità».
Non c’è da lavorare anche sul linguaggio?
«Certo, lo dico da tempo. La segretaria generale della Camera, che per la prima volta è una donna, ha inviato una circolare agli uffici affinché nei resoconti venga correttamente usata la declinazione di genere. Io stessa ho scritto alle deputate e ai deputati chiedendo di adottare un linguaggio rispettoso del genere. Ma il problema non esiste solo in Parlamento. Dovremmo riflettere sul perché si dice operaia, infermiera, o contadina e c’è invece resistenza quando si deve dire avvocata, sindaca, o ministra».
Boschi e Pinotti preferiscono farsi chiamare ministro e non ministra.
«È una loro scelta, che va rispettata. Ma in generale mi preoccupa quando le donne ritengono che declinare la loro professione al maschile le renda più autorevoli. Se un deputato mi chiama “signor presidente” io non mi sento più stimata, penso che sta facendo un errore. Usare solo il maschile per i ruoli di vertice significa non voler riconoscere alle donne tali posizioni».
Il Parlamento non è sempre un modello.
«Gli insulti sessisti in Parlamento sono deprecabili, anche per il riflesso che hanno nella società. Per una corretta percezione delle donne, però, tutte noi dobbiamo impegnarci, ognuna nel suo ambito. Non si può abbozzare. Se si lascia correre, sia nel linguaggio che nelle discriminazioni, ci si rende complici».
I fondi sono esigui, ci sono ancora margini di azione nella legge di Stabilità?
«Ho voluto organizzare questo convegno anche per fornire degli input che, mi auguro, potranno essere considerati nella legge di Stabilità e, più avanti, nel Def».
Il Jobs act non funziona?
«Tante giovani continuano a essere penalizzate ed è sempre più difficile per loro andare a vivere da sole e programmare un figlio. Temo che per molte il Jobs act non abbia sbloccato la situazione. Una donna su quattro lascia il lavoro quando resta incinta. È un dato allarmante. Bisogna anche aumentare incentivi e sgravi fiscali per chi assume le donne. C’è un enorme capitale umano femminile che viene trascurato, ma la ripresa economica passa da qui».
Le cronache sono piene di fatti di sangue: su dieci donne uccise, sette avevano denunciato l’assassino.
«Per riconoscere la violenza ci vuole personale formato, capace di cogliere il campanello d’allarme. E bisogna lavorare di più su prevenzione e istruzione. Mi ha colpito un dato allarmante contenuto nella ricerca della onlus We World: il 32% dei giovani ritiene che la violenza domestica debba restare in famiglia, quando invece la convenzione di Istanbul la definisce violazione dei diritti umani».
I dati dei delitti contro le donne mettono i brividi.
«È importante educare i bambini alla parità da subito, introducendo il tema del rispetto di genere e della condivisione degli oneri sin dai primi anni di età, in famiglia e sui banchi di scuola. Ma tutto questo non si può fare senza coinvolgere gli uomini».