Corriere 24.11.15
L’intervista «Non si burocratizza la politica Temo il neonordismo del partito»
Biagio De Giovanni: irritante escludere l’ex primo cittadino, ha coraggio
intervista di Marco Demarco
Prima il caso De Luca, ora quello Bassolino. Cosa sta succedendo nel Pd? E cosa sta succedendo a Napoli, dove tutto sembra concentrarsi nello spazio e nel tempo? Biagio De Giovanni, frequenta abitualmente Hegel e Spinoza e quando si sposta in città usa volentieri l’autobus. È uno di quei filosofi che vive di idee astratte e di cose concrete. È stato comunista, ha poi aperto dibattiti critici su Togliatti e Berlinguer, e da sempre vive a Napoli.
Professore, cominciamo dal Pd, dalle nuove regole per le primarie anticipate da Renzi, quelle anti-Bassolino, per intenderci.
«Rispondo così: Dio acceca chi vuole perdere. Sempre che Dio, beninteso, con quello che sta succedendo nel mondo, voglia sul serio occuparsi di vicende come queste. In ogni caso, vedo due motivi di accecamento».
Andiamo per ordine.
«Il primo è il rinvio al 20 marzo delle primarie. Concedere due mesi di vantaggio agli avversari mi sembra un errore. A Napoli, ad esempio, de Magistris è già in campo. E anche la destra ha da tempo un candidato. Ciò conferma una mia impressione: non credo che il Pd voglia davvero occuparsi della città. Questi ultimi anni, del resto, sono stati disastrosi: mai un’idea, mai una reale opposizione a quel vero e proprio disastro che per me è de Magistris, il sindaco dei pizzafestival».
Il secondo?
«Escludere dalle primarie gli ex sindaci mi sembra una regola così contra personam da apparire a dir poco irritante. È una burocratizzazione della politica non degna di Renzi. Così come non riesco a sopportare la pessima abitudine di distribuire note anonime alla stampa. «Bassolino non è il nostro candidato»! Ma chi lo dice? E che vuol dire “nostro”? In polemica con Bassolino ho scritto negli anni passati articoli inequivocabili. Ma oggi non posso non attribuirgli coraggio politico. Almeno c’è chi comincia a metterci la faccia. Contro di lui avrei preferito una battaglia aperta, e invece vedo solo un lanciare la pietra e nascondere la mano. Una doppiezza che non mi piace».
Scusi, ma ha smesso di essere renziano?
«Renzi ha scosso l’Italia, l’ha come liberata da lacci e lacciuoli, e gli riconosco grandissime capacità. Ma ora ho molti dubbi. Sulla politica estera, per esempio: non si può lasciare sola la Francia, l’unico Paese che oggi guarda al mondo, a differenza della Germania, che è diventato un Paese di commercianti. E poi non mi convince l’idea di governare tutto da Roma, come se le città, più delle Regioni, non fossero decisive; e come se desse fastidio la presenza addirittura culturale di un partito localmente radicato. Siamo al cesarismo politico, per dirla con Gramsci. All’avanguardismo giacobino».
E il fenomeno De Luca come se lo spiega?
«Bisognerebbe rileggere Vico sulla natura dei governi fortemente connessa a quella dei governati. Per fermare De Luca c’erano ragioni dirimenti a cui appellarsi: la legge Severino. E invece niente».
Altri dubbi?
«Più che un dubbio, una preoccupazione. Vedo, da parte di Renzi, una grande attenzione su Milano. Fa bene, per carità. Ma non vorrei si facesse strada una sorta di neonordismo, per giunta proprio quando la Lega allenta quella presa. Lo dico con angoscia e vorrei essere creduto: sarebbe un errore gravissimo, perché le metropoli meridionali, tutte, stanno andando letteralmente alla deriva. Si prenda Napoli, la polverizzazione del fenomeno camorristico, la paura di vivere in periferia o nel centro storico. Ahimè: la Napoli del passato era migliore. E qui de Magistris c’entra poco, perché alludo a processi profondi: ben noti, tra l’altro».
Appunto. Mi scusi, ma cosa c’è di nuovo?
«C’è il mondo, c’è l’immigrazione di massa, c’è la difficile convivenza da gestire. Tutto passa per le città. E consegnarle al populismo artificiale, al puro flusso di opinioni e all’assenza assoluta di una volontà comune potrebbe risultare fatale».