Repubblica 24.11.15
Il boomerang ad personam
Selezioni interne prive di regole certe. E così si trasformano in una trappola
La strettoia irrisolta dei veterani locali e del renzismo povero di talenti
Legittimo voler tenere fuori Bassolino, però accettando la sfida delle urne
Il ritorno dell’ex sindaco riflette l’incapacità di proporre nomi più forti del suo
di Stefano Folli
Le primarie si confermano la strettoia più insidiosa sul sentiero del partito renziano. A due anni dall’inizio della segreteria, il leader non ha saputo o non ha voluto stabilire un sistema di regole certe. Di fatto, non ce ne sono; o almeno, non ci sono quelle che servirebbero a evitare troppi colpi di scena, per cui un meccanismo di democrazia si trasforma in una trappola per il gruppo dirigente.
La candidatura di Antonio Bassolino a Napoli non è esattamente una sorpresa. Era nell’aria da tempo ed è stata preparata con una certa cura. Ma in via del Nazareno si sono sottovalutati tutti i segnali. In base al principio sottinteso che i cosiddetti “rottamati” non hanno alcuna possibilità di riaffacciarsi alla vita pubblica, dal momento che il partito avrebbe nei loro confronti una reazione di rigetto. In realtà le cose sono più complicate. Come è stato ripetuto mille volte, il Pd ha un volto a Roma e un altro volto molto più articolato nelle città e nelle regioni. Il “partito di Renzi” esiste là dove il presidente del Consiglio esercita il suo potere, ma poi si presenta sfilacciato e contraddittorio a livello locale. E personaggi che a Roma, nel circuito ristretto dei renziani, vengono considerati antidiluviani, in realtà hanno un loro seguito e una precisa identità nei municipi, in qualche caso nelle regioni. È chiaro che nella visione del “partito della nazione” c’è posto per Sala a Milano e non per Bassolino a Napoli. Ma le primarie hanno una loro logica e sprigionano un’energia politica non comprimibile: lo sa bene Renzi che delle primarie è figlio, avendo convinto l’allora segretario Bersani a correggere lo statuto del Pd che gli avrebbe precluso la partecipazione.
Ecco quindi che Bassolino nella sua città ritiene di avere i numeri e la competenza per partecipare. Sconfiggerlo si può (nell’ottica di Renzi, si deve), ma solo in campo aperto, ossia nel rispetto della filosofia delle primarie.
D’altra parte, il ritorno dell’ex sindaco è il prevedibile risultato di una politica debole e di un Pd incapace di vivere fino in fondo il rinnovamento renziano, al di là di un certo opportunismo. Qualora a Napoli esistessero candidati ben radicati nel territorio - come si dice oggi - e forti di un loro consenso, la bandiera di Bassolino non farebbe paura. Infatti, se l’uomo risulta credibile nella sua nuova, tardiva discesa in campo, lo si deve soprattutto all’assenza nel Pd di altre figure capaci di raccogliere l’attenzione dell’elettorato, interpretando a Napoli il messaggio renziano. Per meglio dire, nomi come quelli di Gennaro Migliore e Umberto Ranieri, pur figli di storie opposte, hanno una loro indiscussa dignità, ma devono ancora dimostrare di essere in sintonia con la città, dopo gli anni tormentati di De Magistriis.
Si capisce quindi che l’idea di fabbricare in tutta fretta una regoletta “ad personam” per impedire a Bassolino o a Ignazio Marino di candidarsi, rischiava di essere un errore politico. E Renzi è stato svelto ad allontanare la patata bollente di un paio di mesi, fino a gennaio: il che equivale di fatto a rinunciare all’ipotesi di una tagliola contro i candidati scomodi. Del resto, i casi Bassolino e Marino non sono paragonabili fra loro. Il primo appartiene, pur con i suoi errori, alla storia napoletana. Il secondo, uscito di scena senza gloria, non ha mai dato l’impressione di appartenere a Roma. Tanto che oggi accarezza l’idea di presentarsi alle primarie, oppure “tout court” alle elezioni municipali, al solo scopo di danneggiare il Pd e fargli perdere quei 6-7 punti che equivarrebbero al colpo di grazia.
Come se ne esce? La stessa idea che la “rottamazione” sia un mero strumento di potere da brandire oppure accantonare a seconda delle convenienze, può essere dannosa per il premier-segretario. D’altra parte, peggio delle primarie abolite per timore dei risultati, ci sono solo le primarie addomesticate. Quando invece l’unica via d’uscita consiste nel creare un sistema di regole condivise entro cui far svolgere il confronto fra candidati. Una cornice neutrale. Ma forse andava predisposta prima: adesso sembra, e in effetti è, un tentativo maldestro di condizionare la gara.