domenica 15 novembre 2015

Corriere 15.11.15
Non è come Charlie. E Le Pen ora ha una change
Quando erano in gioco i valori, il presidente seppe compattare il Paese; sarà molto più dura adesso che vacilla la sicurezza di tutti
di Gian Luigi Stella


Stavolta non ci saranno funerali solenni: ognuno seppellirà i suoi. Non ci saranno marce con i leader del mondo sottobraccio sui boulevard della capitale; le uniche code sono per donare il sangue, visitare i feriti, riconoscere i corpi. Gli attacchi di gennaio rafforzarono Hollande e lo spirito repubblicano ed europeo; questi rischiano di indebolire l’uno e l’altro. Allora terroristi isolati agirono contro obiettivi precisi: i vignettisti irriverenti, gli ebrei vittime dell’odioso antisemitismo che ritorna. Stavolta i soldati dello Stato Islamico, apparsi molto più forti, hanno colpito la folla del venerdì sera. Quando erano in gioco i valori, il diritto d’espressione, la libertà di stampa, il presidente seppe riunificare i francesi; sarà molto più dura ora che vacilla la sicurezza di tutti, gli apparati di sicurezza si sono dimostrati impotenti, Marine Le Pen — isolata dopo la strage di Charlie Hebdo — ritrova il centro della scena. Ieri si discuteva di Voltaire; oggi si trema per la vita.
Parigi, la mattina dopo la notte peggiore dall’arrivo dei nazisti, è una città cauta, impaurita, ma viva. La prefettura ha invitato tutti a restare a casa, ma i parigini insolitamente gentili vogliono ritrovarsi, chiedersi dov’erano al momento dell’attacco, avere notizie dei conoscenti, abbracciare gli amici. Chiusi i musei, i grandi magazzini, i cinema, le mostre, la Tour Eiffel, Disneyland; aperti i mercati rionali, i bistrot, la tomba del milite ignoto sotto l’Arco di trionfo. Hollande ha tentato di interpretare la resistenza popolare con un discorso a tratti duro — « serons impitoyables », che può significare sia spietati sia implacabili — a tratti nobile: «Siamo in guerra, ma la Francia trionferà sulla barbarie. Difendiamo la nostra patria e molto di più; difendiamo i nostri valori, la nostra umanità». Sarkozy depone per il momento le armi e invita tutti a stringersi attorno alle vittime e alle forze dell’ordine, i capi del partito socialista lo ringraziano. Ma l’ union sacrée , che la scorsa volta aveva retto per una settimana, si sgretola in poche ore.
Marine Le Pen denuncia che i francesi sono insicuri: «Chiudiamo le moschee radicali, cacciamo i predicatori di odio». Il suo compagno, Louis Aliot, definisce «irresponsabile» il primo ministro Valls, apparso molto scosso: abita nel quartiere della strage. Da tutta la galassia della destra, senza distinzione tra il Front National e i Républicains di Sarkozy, arrivano invettive contro la Francia «trasformata in una grande moschea», «libanizzata», «islamizzata», «abbandonata all’utopia multiculturale», in balia di 4 mila sospetti jihadisti per cui l’ex ministro Wauquiez propone un «campo di prigionia», una Guantanamo francese. L’ex premier Fillon accusa a mezza bocca il governo di aver esposto molto il Paese con l’intervento in Siria, senza andare sino in fondo e senza preparare una difesa adeguata. Valls in tv annuncia un’escalation: «Risponderemo sul terreno in Siria e in Iraq, annienteremo lo Stato Islamico, vinceremo questa guerra». Il mese scorso si chiedeva su Le Monde : «A gennaio i francesi sono stati all’altezza, ma come reagirebbero a un nuovo attentato?». Ora avrà la risposta.
Sui social media, una minoranza sostiene il «teorema Houellebecq»: la Gauche che si rafforza, grazie alla retorica nazionale e all’alleanza con i figli dell’immigrazione — ieri il presidente ha evitato anche solo di pronunciare la parola «Islam» o «islamico» — e riporta all’Eliseo, se non proprio il leader musulmano vaticinato dallo scrittore, il tranquillizzante e «rotondo» Hollande. Ma la maggioranza è convinta che la terribile notte del 13 novembre abbia rafforzato il lepenismo e tutti i populisti d’Europa.
L’attacco non ha colpito la Parigi dei turisti, ma quella dei ragazzi. Non i caffè intellettuali e le vetrine griffate della Rive Gauche, né gli atelier del cibo e della moda della Rive Droite, ma gli arrondissement più popolari, dove il pubblico dei concerti e del calcio era venuto a passare il venerdì sera. I kamikaze si sono fatti esplodere fuori dallo stadio dove si giocava il derby d’Europa Francia-Germania, tra i tifosi delle due squadre più multietniche del continente, e dentro un teatro dove si esibiva una band americana dal nome inquietante di Eagle of the Death , Aquila della morte. Sono ancora accese le insegne del Bataclan, in boulevard Voltaire, la via dei cortei della sinistra; il municipio dell’XI arrondissement, dove i terapeuti hanno aperto una cellula di assistenza psicologica per i superstiti e i parenti dei morti, affaccia sulla piazza dedicata a Léon Blum, il primo ministro della grande vittoria del Fronte Popolare nel 1936.
Allo stadio c’era anche Hollande. L’hanno portato via, attonito. Poi si è ripreso, si è fatto vedere per strada, vicino al teatro della tragedia, prima di convocare una serie di riunioni del governo e del consiglio di difesa. Si decreta lo stato d’emergenza, si rispolverano norme scritte nel 1959 per la guerra d’Algeria. Ma l’annuncio della chiusura delle frontiere è apparso fin da subito una grida manzoniana: impossibile fermare i treni e gli aerei in arrivo o in partenza dalla Francia. Più che sul ministro degli Interni Cazeneuve, quasi in trance con gli occhi sbarrati, il presidente si appoggia al ministro degli Esteri Laurent Fabius, che era già al governo nel 1982, quando terroristi arabi attaccarono con mitra ed esplosivi un ristorante ebraico nel Marais, facendo sei morti. Fabius ha suggerito di allargare il più possibile il fronte interno della lotta al terrore; così all’Eliseo stavolta sono stati invitati tutti i leader, anche Marine Le Pen, attesa oggi alle 5 della sera. Domani sarà la giornata della messa laica a Versailles, dove si riuniranno l’Assemblea nazionale e il Senato; bandiere a mezz’asta, minuto di silenzio a mezzogiorno. I leader mondiali verranno tra due settimane, ma non per una marcia di solidarietà; per il vertice mondiale sul clima, che sarà difficilissimo, e non solo per ragioni di sicurezza.
I parigini hanno reagito con un orgoglio e una calma impressionanti. Ma dignità non significa consenso. Lo spirito di unità non va confuso con la fiducia nei governanti e nell’opposizione «repubblicana», che oggi non ha un capo indiscusso, divisa com’è tra due uomini di esperienza considerati però vecchi arnesi: Nicolas Sarkozy, appesantito dagli scandali (proprio ieri il suo braccio destro Claude Guéant è stato condannato a due anni di carcere per aver intascato 210 mila euro in nero destinati agli informatori della polizia); e Alain Juppé, primo ministro vent’anni fa con Chirac, apprezzato dai francesi ma incapace di accendere la passione dei militanti che decideranno le primarie.
I cittadini sono in piena rivolta contro la politica, le élites, l’establishment, i partiti tradizionali; rifiutano la supremazia di Bruxelles, le frontiere aperte, la libera circolazione delle persone, l’accoglienza ai migranti. L’attacco all’Europa riapre una frattura. Accende, se non «una guerra civile» come grida il sindaco di Nimes Jean-Paul Fournier, uno scontro sull’idea stessa dell’Unione Europea, sull’asse con la Germania — la Merkel è stata l’unica leader con Obama ad apparire in tutti i telegiornali — sul modello di integrazione. Il 6 e il 13 dicembre si vota per le regionali, i socialisti rischiano di perdere dappertutto, Marine Le Pen è in testa nel Nord-Pas de Calais e sua nipote Marion in Provenza-Alpi-Costa Azzurra; ma la posta in gioco è molto più alta. E se a tanti francesi sembra ancora impossibile che la figlia dell’antisemita fondatore del Front National possa diventare capo dello Stato, da ieri questa ipotesi appare meno inverosimile.
I segni di resistenza si moltiplicano. In place de la République il Comune ha innalzato uno striscione nero con il motto «Fluctuat nec mergitur», oscilla tra i flutti e non affonda; ma sono più significative le scritte di solidarietà tracciate sui muri, le canzoni intonate dai musicisti di strada, non solo il pianista che interpreta Lennon in favore di telecamera ma le tante fisarmoniche che suonano la Vie en rose. Hollande va a visitare i feriti, mischiandosi a una folla dolente che cerca notizie dei familiari nei grandi ospedali, Saint-Antoine, Saint-Louis, La Pitié-Salpetrière. Sul web si assicura che Nostradamus aveva previsto tutto: il terzo millennio si sarebbe aperto con una guerra sanguinosa contro l’Islam, e il peggio deve ancora arrivare. Al cimitero del Père Lachaise passa la sua seconda notte il corpo ridotto in cenere del filosofo che davvero aveva previsto molte cose: André Glucksmann, grande critico di un altro presidente socialista, François Mitterrand, che vent’anni fa in questi stessi giorni consumava la propria agonia. Tante piccole candele bruciano sui marciapiedi da cui gli impiegati del Comune e altri volontari hanno lavato via il sangue. Per strada piccoli gruppi cantano la Marsigliese.