sabato 14 novembre 2015

Corriere 14.11.15
Il premier stretto nella morsa del caso Campania e dell’economia
di Massimo Franco


«Il presidente della Campania governi se ne è capace, come ho detto in un’altra occasione». L’«altra occasione» alla quale allude Matteo Renzi è la crisi della giunta capitolina. E quell’ipotetica, «se ne è capace», finisce per associare Vincenzo De Luca all’ormai ex sindaco di Roma, Ignazio Marino. Stesse parole per due crisi diverse del Pd. Potrebbe essere un benservito ma anche soltanto un pre-ultimatum. Non a caso, gli avversari accusino il premier di avere preteso le dimissioni di Marino ma non quelle di De Luca.
Ma la vicenda va oltre questi personaggi minori, rimbalzando su Palazzo Chigi. Il problema è per quanto tempo Renzi il rapporto irrisolto tra il premier e i suoi riuscirà a non logorare quello con un’opinione pubblica che nel 2014, alle Europee, gli aveva dato ampio credito; ma alle Regionali del maggio scorso è già apparsa più tiepida. Non si tratta più di casi singoli, ormai, ma di un contesto che mostra un Pd minato dalle lotte interne e dalla credibilità della sua classe dirigente. Per questo non si può escludere che il capo del governo decida di intervenire per correggere una deriva potenzialmente devastante.
Le Amministrative di giugno lo metteranno di fronte ad una sfida nelle maggiori città, che nasce sotto cattivi auspici. I commissariamenti, le inchieste giudiziarie, la ricerca di candidati spendibili costituiscono un groviglio difficile da districare. Renzi può rivendicare le riforme istituzionali, da quella elettorale al Senato. E non smette di ricordarle in ogni occasione, in Italia e all’estero. Gliene dà atto ieri anche Standard & Poor, una delle maggiori agenzie statunitensi che valutano le prospettive economiche dei Paesi.
Il presidente del Consiglio continua a riversare milioni di euro tra Giubileo papale e «terre dei fuochi» in Campania. E rivendica in polemica con i sindacati l’assunzione di 48 mila professori precari. Insomma, alimenta con la legge di Stabilità e con i fondi agli enti locali la narrativa di un’Italia in ripresa, vicina ad archiviare la crisi. Ma l’enfasi con la quale Palazzo Chigi sottolinea ogni segnale positivo, è a doppio taglio. Finisce per enfatizzare anche i dati negativi, per quanto minimi.
Così, quando l’Istituto di statistica fa sapere che nel terzo trimestre il Pil è cresciuto poco, rispunta l’incertezza.Un modesto 0,2 per cento in più. «Speravo in uno 0,3», ammette Renzi. Il Tesoro, tuttavia, sostiene che l’Istat ha sottostimato il Pil. E prevede una correzione al rialzo. Ma l’opposizione è meno disponibile alle sfumature. Registra il dato, e conclude che «l’effetto Renzi è già finito», scolpisce Deborah Bergamini di FI. Si grida all’azzardo perdente del premier, rilanciando previsioni fosche. Certo, il caso De Luca in Campania e le proiezioni dell’Istat non ci volevano, a distanza di due giorni. Perché la narrazione renziana abbia successo, occorreranno altri sforzi.