giovedì 12 novembre 2015

Corriere 12.11.15
«Non è come Marino» L’imbarazzo del Pd che però non esclude di sacrificarlo
Renzi applichi lo stesso metro di valutazione usato per Marino, sugli scontrini e sul fatto che non aveva visto la corruzione intorno a lui
De Luca ha quantomeno la responsabilità politica
di Stefano Esposito


ROMA Prima la sorpresa per l’ennesimo fulmine, a ciel niente affatto sereno, piombato sul tetto del Nazareno. Poi la tentazione di blindare Vincenzo De Luca, per non aprire un altro pericoloso fronte in vista del voto nelle città: Napoli compresa. Infine, col passar delle ore, la preoccupazione e il nervosismo del gruppo dirigente dem, che riflettono lo stato d’animo di Matteo Renzi. Nella sua enews settimanale, di tutto parla il capo del governo tranne che di De Luca ed è difficile pensare che si tratti di una svista. «Sono preoccupato — ammette il ministro della Giustizia, Andrea Orlando — per quello che si capisce si tratta di una vicenda non particolarmente esaltante».
Con il premier impegnato a Malta, la reazione a caldo dei vertici del Partito democratico è un ostentato silenzio di fronte alla nuova inchiesta che coinvolge il presidente della Campania. Uno via l’altro i vicesegretari, i capigruppo, il presidente e gli altri «big» del partito scelgono il no comment, ricordando (a registratori spenti) che il Pd è una forza garantista e che il governatore, fino a prova contraria, è parte lesa. Un nuovo «caso De Luca» non esiste e «tutto si chiarirà presto».
Nel pomeriggio in Parlamento si diffonde la voce che toccherà al vicesegretario Lorenzo Guerini metterci la faccia. Ma al posto della dichiarazione ufficiale, a sera filtra dal Nazareno una nota in cui il Pd esprime «totale fiducia» nel lavoro della magistratura. Quanto all’indagato, il partito del premier non esprimerà «nessun verdetto in anticipo». Calma e gesso dunque, come ha raccomandato il Guardasigilli Orlando: «Siamo ai primi indizi, sarei cauto a trarre delle conclusioni». Altrettanto preoccupato è il capogruppo Ettore Rosato, che pure attende «con fiducia e rispetto gli esiti dell’inchiesta».
Il primo obiettivo di Renzi è salvaguardare il lavoro che De Luca sta svolgendo in Campania, tra la Terra dei fuochi e l’emergenza di Bagnoli. E per questo il Pd sceglie di prendere tempo, mostrando un atteggiamento che al Nazareno definiscono «serio e responsabile». Niente condanne affrettate, nessuna difesa pregiudiziale. Certo, se la posizione del presidente dovesse aggravarsi, il capo del governo non farà le barricate per salvarlo. «Aspettiamo e vediamo» è il leitmotiv dei dem, che si preparano a mollarlo alla prima curva pericolosa: «Non moriremo per De Luca, non lo difenderemo a oltranza».
L’imbarazzo è forte e sembra destinato ad aumentare, parallelamente al sospetto di doppiopesismo che rischia di complicare politicamente la vicenda. Il tema che divide il Pd è questo: perché Ignazio Marino è stato costretto a lasciare, mentre nessuno chiede un passo indietro a De Luca? A scagliare la pietra nello stagno è Stefano Esposito, ex assessore del Campidoglio. Il senatore teme che la vicenda «mandi in tensione il tessuto vitale» del Pd, quindi sprona Renzi ad «applicare lo stesso metro di valutazione usato per Marino, sugli scontrini e sul fatto che non aveva visto la corruzione intorno a lui». Niente sconti, insomma. Perché De Luca, non essendo andato dai giudici a denunciare il ricatto, ha quantomeno la «responsabilità politica».
Al Nazareno respingono offesi il paragone con Marino, perché «la situazione era molto logorata» e «si era rotto il rapporto con la città». Eppure le parole del garantista Esposito incrinano la marmorea tranquillità dei vertici del Pd. Il disagio è così evidente, che pure la minoranza si tiene alla larga dal dossier. «Non ho letto ancora le carte — prende le distanze Gianni Cuperlo —. Io mi occupo di politica, non di De Luca. Imbarazzato? No, non lo sono affatto». Persino Rosy Bindi, considerata da De Luca il nemico numero uno, sceglie di non infierire: «Non dico una parola, non muovo nemmeno un sopracciglio». I parlamentari di ReteDem, invece, lanciano il «massimo allarme», invocano una direzione nazionale e chiedono «misure straordinarie», a cominciare dal commissariamento della Campania. Il senatore Sergio Lo Giudice mette il dito nella piaga: se Renzi vuole vincere a Napoli dovrà fare piazza pulita del gruppo dirigente locale. E mettere mano alla riorganizzazione di un partito che, sul territorio, non sembra godere di buona salute.